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L’imprevisto e il normale, una linea continua che segue un punto che non si conosce, descrive una realtà presente, dove persone sono legate al filo dell’interpretazione momentanea, in un gioco all’effetto conosciuto ma che non è quello aspettato. Costruire una trama porta un inizio, uno svolgimento e una fine, lo spettatore si sente partecipe perché conosce inconsciamente il tessere della storia, in un gioco prestabilito tra il regista e colui che è seduto sulla poltrona del cinema. Cosa succede quando questo filo viene spezzato? Cosa succede quando dall’altra parte dello schermo si trova se stessi? E seguire la consequenzialità delle immagini è come lo scorrere della propria vita? Esiste un momento in cui la finzione supera la realtà, e in cui la realtà entra nella finzione, dentro un gioco nel quale si viene trasportati, dentro le regole della vita dettate da immagini che scorrono, un film non scritto, una realtà sospesa … una rivoluzione sospesa. C’è un momento in cui tutto scompare e rimane solo la fragilità dell’immagine, del fotogramma che supera i confini del percettibile, diventando poesia. Così le regole vengono abbattute, e i titoli di coda lasciano lo spettatore inchiodato sulla poltrona, in attesa, aspettando un altro momento per dimenticare la realtà, per vedere oltre il presente.
C’è un modo di fare cinema che, nell’eccezione positiva del termine, colpisce direttamente lo stomaco delle persone, che sa raccogliere tutto un immaginario. Il cinema arabo è sempre contrastato da un duopolio o una dicotomia in cui i sentimenti vengono lasciati interrotti, non detti, non comunicati … ma sono legati da un linguaggio sotterraneo che è compreso da tutti. Forse è dovuto alla forte presenza della censura che in un certo modo attiva l’immaginazione per trovare altre strade con cui dire quello che non si può dire. Ahmed Abdalla ha la capacità di racchiudere questa poesia nel suo film Microphone, per raccontare i drammi sentimentali di un rapporto amoroso o di amicizia senza soffermarsi sui dettagli, perché chi è egiziano capisce il sottinteso di una frase non detta o di un’immagine mancante, la storia che si trova sullo schermo s’intreccia con quella che si racconta tutti i giorni nelle città d’Egitto.

Così si ritrovano le storie incrociate di diversi personaggi. Il tipo con le cassette musicali di contrabbando rincorso dalla polizia, graziato una volta e preso a calci e pugni in un’altra occasione. Il protagonista Khaled, e la sua rimembranza del ritorno dall’America per cercare un altro futuro, per ritrovare le radici del suo emigrare, per vivere una vita che conosce, per sposarsi. Le cose non funzionano, si lasciano, la separazione viene accentuata quando la ex ragazza gli comunica che va a vivere a Londra per fare il dottorato di 5 anni, la perde di nuovo, un sogno che crolla definitivamente, l’inizio della depressione dalla quale uscirà solo tramite il movimento underground di Alessandria e il suo coinvolgimento. Il ragazzino e la sua band di skateboard che s’innamora dell’altra adolescente che tappezza la città d’Alessandria di graffiti; il membro del gruppo hip hop Y Crew, Hamoota, che fa il pescivendolo ai mercati generali e salva un pesce ancora vivo per poi liberarlo alla fine del film nelle acque del Mediterraneo, forse per portare un messaggio a noi dall’altra sponda del mare, per comunicare che il sud del mare Nostrum vive e non è poi così lontano come può sembrare. Storie che s’intrecciano alla perfezione, gridando il bisogno di comunicare di una città, di un’intera nazione. Il film si srotola tra il presente e il recente passato dei personaggi, in un cambiamento di scene ben sostenuto da un linguaggio lineare che tiene su lo scenario, come nella trama di un libro ben curata, solo che nel film la musica, quella alternativa di Alessandria accompagna lo spettatore in un vortice di emozioni umane e personali.
Ahmed Abdalla ha studiato musica, ma la sua vera passione era il cinema tanto da intraprendere la carriera di editor appena terminati gli studi e guadagnare un bagaglio culturale ed empirico che gli ha permesso di “indipendizzarsi”.
“Quartiere di Heliopolis, Il Cairo e Alessandria, quanto sono importanti la strada e le città per lei?”

“Il film non riguarda le strade, ma storie normali di gente comune. Non è importante registrare dentro gli studios, ma ottenere la giusta immagine, quello che normalmente si può vedere a Il Cairo e ad Alessandria … quindi per me riguarda di più la realtà che essere dentro la strada. Per ogni regista filmare nelle strade de Il Cairo è un incubo, è molto difficile, per questo i registi famosi preferiscono costruire la loro location favorita. Ma se si sta nella strada si lavora con la vera gente, quella reale”
“In Microphone, ma anche in Heliopolis, c’è sempre la separazione dal proprio paese, che cosa vuole denunciare?”
“Non solo l’emigrazione, mi riferisco sopratutto a Heliopolis. Ogni personaggio cerca di trovare una vita alternativa, per realizzare i suoi sogni e le sue aspettative, come una delle protagoniste che vuole essere a Parigi senza esserci mai stata, un sogno per una realtà diversa … come il soldato con il cane, che tramite l’animale ritrova sentimenti umani rispetto all’alienazione di un lavoro militare ripetuto giornalmente … come il ragazzo Ibrahim che cerca di prendere il visto per andare in Canada, nella prospettiva di una vita sostitutiva a quella in cui è intrappolato a Il Cairo. Cerco di essere il più nostalgico possibile: nostalgico verso la vecchia città, verso le vecchie relazioni …
Il film è politico ma anche sociale. La lotta dei protagonisti è politica in quanto combattono contro la realtà imposta dal regime che li governa. Come la situazione politica vigente impatta sulle loro vite? E come riusciranno a sbrogliarsela? Questa è la domanda principale nel film”
“Come vede il movimento alternativo a Alessandria, a Il Cairo e in generale in Egitto?”
“Credo che in Alex sia molto più forte che a Il Cairo, non sotto l’aspetto quantitativo, ma qualitativo, per le idee originali che vi puoi trovare giornalmente. Questo perché la città offre più tempo per sé e un impegno più intenso; a Il Cairo tutto è lasciato al caso, non si ha il tempo né l’energia per concentrarsi bene, la capitale è troppo stressante, inquinata … non c’è nessun altro modo di vivere a Il Cairo eccetto lo stile che la città offre. Ad Alex non è così, è più progressive, anche il movimento dei graffiti è nato là, con idee provocatorie, nuove, originali … a Il Cairo ci si è accorti dei graffiti solo dopo la rivoluzione”

“Perché questo continuo desiderio di andare a vivere all’estero che si nota in entrambi i suoi film?”
“Volevo mostrare sia la stanchezza di continuare a lottare, che l’idea di persone che vogliono continuare a combattere. Lo stato d’animo della donna che vuole andare in Inghilterra, è affranto, lei è stufa, non può più andare avanti, anche se ha una persona a fianco che la ama, anche se ha una vita quasi normale e basterebbe un piccolo sforzo per raddrizzarla, ma semplicemente non ce la fa più, non ha più il coraggio di andare avanti. Non sono d’accordo con chi dice che si deve rimanere e lottare, ognuno ha i suoi limiti. Il suo personaggio mi è molto caro, perché mi appartiene, nel senso che l’ho scritto io, mentre il resto del film sono le storie vere dei vari artisti che vivono ad Alessandria. L’idea era quella di condividere le proprie storie ed esperienze, e io l’ho fatto attraverso Khaled, il personaggio principale”
“Pensa che il bisogno di emigrare all’estero sia diminuito dopo la rivoluzione?”
“La rivoluzione non è un click con il quale si può cambiare il comportamento o il modo di pensare di un intero popolo. La situazione è fluttuante, migliora in alcuni settori ma peggiora in altri. Dobbiamo lavorare molto per 5-6 anni prima di vedere un miglioramento generale, ancora adesso siamo in una situazione indefinita e molto critica. Dobbiamo lavorare e lavorare per vedere dove stiamo andando”
“Che cosa significa l’hip hop per lei visto che in Microphone è molto presente?”

“Odio totalmente l’hip hop, non è proprio il mio genere. Tutti gli artisti lo sapevano già prima d’iniziare le riprese, anche Boflot. Però c’è una cosa che mi affascina dei cantanti hip hop: la capacità di esprimersi liberamente, l’energia che convogliano e la schiettezza nel denunciare le cose, lo fanno perché sono veramente stufi di una situazione o di una realtà, e lo cantano a voce alta. Faccio la stessa cosa con i miei film, senza firmare grandi contratti con grandi compagnie cinematografiche, senza avere costi eccessivi … faccio film perché amo il cinema … proprio come gli hip hopper e per questo ho deciso che sarebbero stati la spina dorsale della trama”
“Per lo stesso motivo ha voluto inserire i graffiti nel film?”
“Il film è un inno alla libertà di pensiero e alla possibilità di esprimersi, non è un film sulla musica. E’ un’analisi di come le persone influiscano sulla vita e le decisioni di altre. Per questo motivo ho voluto mettere gli skateboarder, loro non sono artisti, e la loro decisione di vivere come un branco separato dalla società, non ha niente a che vedere con l’arte”
“Il pesce catturato rimesso in libertà, un’altra possibilità? Rappresenta un nuovo inizio per l’Egitto?”

“Ho chiesto a ogni artista che volesse partecipare al film di portare una storia. Ognuno mi ha presentato una bozza sulla quale ho lavorato, ma nel caso specifico il ragazzo non è riuscito a tracciare un suo personaggio. Così gli ho chiesto che cosa facesse nella vita, mi ha risposto: “Sono un pescatore che aiuta la sua famiglia ai mercati generali e la sera suono hip hop, così è come voglio apparire nel film”. Gli ho detto che come figura andava bene, ma avevo bisogno della storia. A questo punto è entrato in gioco il mio ruolo, quello di regista e sceneggiatore. Così ho creato una storia reale e magica, stravagante e immaginaria da mettere nel film.
È un gesto simbolico quello di rimettere in libertà un pesce trovato vivo in mezzo a migliaia morti ai mercati generali … gli egiziani sono stati capaci di vivere anni e anni sotto un regime dittatoriale e come il pesce sono riusciti a sopravvivere fino al punto di ritrovare di nuovo la libertà”
“Quindi anche lei gira i film come Ibrahim El Batout (vedi Alias 16/04/2011) senza sceneggiatura, o ha un modo diverso?”
“Non proprio, anche se non scrivo tutta la sceneggiatura completa, diciamo che mi trovo in una via di mezzo tra Ibrahim e Tamer El Said che è un maniaco nel seguire il copione. Ho scritto Heliopolis in sole 25 pagine, ogni scena viene lasciata alla bellezza e alla poesia della casualità, ovviamente una casualità ricercata. Come quella della coppia che entra nel grande centro commerciale e la ragazza si lamenta perché è affollatissimo, non era previsto né scritto, è venuto naturale come accade nella vita reale, rendendo l’attore più autentico e spontaneo”
“Pensa che il suo cinema si avvicini in qualche modo al Neorealismo che usava comparse di strada?”

“Forse. In Heliopolis gli attori recitavano per la prima volta: come il protagonista, o come il soldato, una delle figure a me più care, o la stessa coppia del centro commerciale per comprare un frigorifero … Ovviamente dipende dal budget disponibile, ma anche lavorare con amici permette di avere una comunicazione immediata e di capirsi al volo”
“Vuole descrivere due tipi di Egitto nel film: quello tutte vetrine dei centri commerciali e luccicante, e quello dei poveri che non ci entreranno mai?”
“Non era proprio questo l’obiettivo, volevo descrivere una situazione d’amore, che dovrebbe essere la cosa più semplice al mondo. Nella nostra vita giornaliera siamo circondati da marchi di fabbrica e loghi pubblicitari, è la triste società in cui viviamo, volevo rendere l’amore separato da questa idea consumistica con la quale viene presentato. Loro stanno per sposarsi, sono presi da mille cose: comprare l’appartamento, gli accessori per la propria casa, l’arredo, il maledetto frigorifero … talmente presi da questa decisione sociale che dimenticano persino di parlarsi, di esprimere i propri sentimenti”
“C’è un momento nell’ipermercato in cui lei inquadra il piede di lui che esita, come se volesse scappare, che voleva esprimere?”
“Quando si è sul punto di sposarsi, c’è sempre un momento in cui si dubita, e si vorrebbe fare un passo indietro, è un attimo quasi impercettibile e inconscio, lui si trova a osservare la sua futura moglie in un centro commerciale, attraverso una vetrina, in una realtà costruita”
“Perché c’è una visione retrospettiva prima e dopo la pseudo rivoluzione del ’52?”
“Heliopolis è un modo di analizzare la situazione del 2009, come ci si è arrivati basandosi su quello che era accaduto durante la monarchia, poi quello che era accaduto negli ultimi 60 anni, e quello che le nostre famiglie hanno vissuto; questo è il motivo per il quale si vede una Heliopolis scura e cupa. In Microphone (2010) invece si cerca di analizzare la situazione presente in base a quello che accadrà nel futuro … se si pensa che appena 4 mesi dopo aver girato Microphone è scoppiata la rivoluzione, era una visione azzeccata!”
“Le figure della receptionist e del soldato che ruolo ricoprono?”
“La prima vive in un mondo chiuso; immagina di vivere in una Parigi che ha visto solo nella celluloide, e non riesce minimamente a comprenderne i meccanismi, persino una cosa banale e semplice quale un bacio, come quello che si danno i due stranieri davanti alla reception, la turbano perché è un modo di fare alieno alla sua cultura”
“Perché la scelta è caduta sul quartiere di Heliopolis?”
“Perché nel passato era un quartiere cosmopolita e multi-religioso di italiani, greci, egiziani, francesi … una caratteristica che sta perdendo, anche se ancora oggigiorno si può entrare in un negozio di Heliopolis e trovarsi un armeno o un ebreo”
“Quale Egitto vuole descrivere nei suoi film?”

“Non penso all’Egitto, ma al sociale, alla gente comune che vive giornalmente. Possiamo dire che Heliopolis e Microphone sono parzialmente autobiografici”
“Questa è la ragione per cui i suoi film e i personaggi sono come sospesi?”
“Sì, perché le loro vite sono a metà, una sospensione parzialmente spazzata via durante la rivoluzione. In Heliopolis c’è una domanda sotterranea: perché perdiamo la maggior parte del tempo della giornata in nulla? La vita sembra essere persa in un niente … perché accade? E perché gli egiziani l’accettano così facilmente? Questa è la domanda principale che pone il film, e questo è il motivo per il quale ogni personaggio termina la giornata allo stesso modo di come l’ha iniziata, senza che nulla sia cambiato”
“Ma mi trova in disaccordo sul personaggio del soldato …”
“Sì, ha ragione. Anche lui inizierà il giorno dopo con la stessa routine, ma cambia dentro, l’incontro con il cane gli accende una luce nell’anima, perché ha scoperto altre e nuove sensazioni che prima non conosceva”
“Qual è il messaggio finale nella segreteria telefonica? Che vuole dire?”

“È un messaggio positivo, la voce della ex di Ibrahim lo chiama dopo molto tempo, gli parla delle difficoltà e dei problemi di ricominciare da zero, di non rattristarsi perché alla fine tutto si sistemerà e nulla è importante. Ho voluto terminare così per dare un messaggio di speranza quando quasi tutti i personaggi del film falliscono durante la giornata nel raggiungimento di quello che si erano prefissati”
“Nel film Microphone c’è la partecipazione del famoso regista Yousri Nasrallah, qual è la relazione che ha con lui? Si sente in parte erede della sua tradizione e quella di Youssef Shahin?”
“Mi ha aiutato molto durante le riprese di Microphone, da allora siamo diventati grandi amici. Spero di seguire il loro filone, ma è un compito veramente difficile portare avanti il loro cinema, per tutto quello che hanno raggiunto”
“Quale è stato il suo coinvolgimento nella rivoluzione e quali sono i progetti per il futuro?”
“Ho vissuto molto intensamente la rivoluzione in strada; non ho filmato nulla, perché volevo viverla e vederla con i miei occhi e non dietro un obiettivo. Volevo stare con la gente, aiutare, essere sicuro che i miei amici e i miei cari stessero bene. Rivoluzione significa un coinvolgimento emotivo estremo, perché il dramma vissuto in piazza è estenuante. Ora mi sento così esausto che per il momento non sto cercando un’altra storia … anche perché spesso sono le storie che trovano me.
Recentemente ho girato un corto intitolato “La finestra” che parteciperà insieme ad altri artisti, tra cui Nasrallah, al festival “18 giorni” in cui ogni regista dovrà parlare della rivoluzione ma senza citarla apertamente, con un punto di vista completamente separato. Il film si svolge in una stanza”

La rivoluzione ancora sta continuando, e penso che per avere successo debba ritornare allo spirito di Tahrir, lo spirito dei primi giorni della rivolta, e fare in modo che duri il più a lungo possibile fino a quando tutte le nostre richieste siano attuate”
Nelle parole di Alaa El Aswani (Alias 16/07/11), la rivoluzione egiziana è come i personaggi dei film di Ahmed Abdalla: sospesa; dal 28 giugno i protagonisti della rivoluzione egiziana sono tornati di nuovo in piazza Tahrir, per gridare alle Forze Armate che loro non si tireranno indietro, che la rivoluzione deve andare avanti. Per il momento, quel pesciolino liberato sta continuando il suo viaggio di libertà, cercando di evitare le reti dei pescatori.
[…] Articoli sull’Egitto By vincenzomattei 4 Commenti Categorie: Articoli sull'Egitto Tags: Articoli sull'Egitto – https://altrome.wordpress.com/articolo-pubblicato-su-il-manifesto-lo-stomaco-dell-egitto/ […]
[…] Director Ahmed Abdalla (03-09-2011) […]