Il Manifesto PDF Mohamed Ablaa website

L’acqua è il Nilo
Per descrivere Mohamed Ablaa, bisogna iniziare dal suo primo viaggio in Europa negli anni ’80, attraversando la Spagna, poi la Francia, fino ad arrivare in Germania dove si è stabilito per due anni. “È in terra teutonica che ho trovato la mia libertà, dove ho capito cosa significa arte, dipingere ed essere liberi”. Un discorso che suo padre tuttora non capirebbe, al contrario di sua madre che lo incoraggiava di nascosto, e della sua insegnante che già a 5 anni lo toglieva dalla classe per farlo concentrare sul disegno. “La pittura a differenza di altre arti, è un dono, è qualcosa d’innato: si può diventare scrittore, attore, regista, filosofo … ma forse solo il musicista si può avvicinare all’arte di saper dominare i colori e le linee come un dono ricevuto”. Mohamed Ablaa, quando parla, sembra disegnare su un foglio bianco la strada che l’uomo dovrà prendere per il suo futuro. Ha l’aspetto burbero e chiuso, ma la sua voce pacata e da uomo che proviene dal delta del Nilo lo rende così semplice e genuino, come la sua camicia macchiata di colori e di sugo del koshary egiziano.
“Che cosa l’ha attratta dei colori che non poteva farne a meno?”

“Con la pittura ci si nasce, ma bisogna essere fortunati ad avere un buon insegnante che t’incoraggi. Per me la pittura era nel sangue, ma è stato grazie alla mia insegnante che ci ho creduto sin da bambino. Mi riforniva di matite, colori, fogli … invece di andare a lezione mi teneva in una stanza a disegnare, ma solo perché grazie a mio padre sapevo già leggere e scrivere. Per me disegnare era la cosa più naturale al mondo. Maggiormente mi catturava la natura, i suoi colori, per riversarli nei miei quadri”
“Lei ha studiato ad Alessandria, ma nei suoi quadri solo Il Cairo è presente, qual è la relazione che la lega alla capitale egiziana?”
“Alessandria significava una pienezza di colori unica, la città mi ha insegnato a sentirne l’intensità, ma quando sono arrivato al Cairo mi sono reso conto di quanto Alessandria fosse piccola, un villaggio al confronto. Sono venuto al Cairo per il servizio militare, 3 anni; ero stato assegnato alla caserma del Muqattam, da dove potevo ammirare la capitale dall’alto”. Il Muqattam oggigiorno è uno dei quartieri che rappresenta al meglio la stratificazione sociale egiziana: da una parte la classe benestante, dall’altra gli zibelin, un clan di famiglie che monopolizza la raccolta dell’immondizia cairota. “Cairo divenne l’unico mondo, con le sue persone e la sua natura, con i suoi discorsi intellettuali e il suo non senso … mi sono innamorato del Cairo dal primo giorno fino a dimenticarmi di Alessandria”
“Perché ha una rapporto speciale con la Mittel Europa? Qual è il richiamo che sente per la Germania e per l’Austria? E cosa c’entra con Il Cairo?”

“Quando terminai l’Accademia di Belle Arti e il militare, andai in Europa, ma è in Germania che feci la mia prima mostra. Fu una coincidenza: entrai in una galleria e incominciai a parlare del mio lavoro, il gallerista era molto interessato e dopo aver visionato i miei quadri mi propose di esporre. Fu un successo, così decisi di rimanere, impiantai il mio primo atelier e feci molte mostre in diverse gallerie e musei. In Spagna e in Francia girovagavo e disegnavo solo sketch, ritratti, mentre in Germania ebbi il tempo di rilassarmi, di parlare con le persone, di stabilire rapporti interpersonali, di discutere dell’Europa, della sua tradizione … è incredibile come i tedeschi siano riusciti a ricostruire un paese nuovo dopo essere stato completamente distrutto dalla Seconda Guerra Mondiale. La cultura e la storia tedesca esercita su di me ancora un fascino particolare. Fu un’esperienza molto significativa, incontrai molti artisti e frequentai molte scuole di pittura che mi diedero molte idee”
“Come questi trascorsi tedeschi l’hanno influenzata nel suo lavoro?”
“Non è stata un’influenza diretta tanto da farmi dipingere aspetti della Germania, ma è stato respirare e assaporare la sua essenza, la sua libertà nell’arte, che alla fine ha contaminato il mio stile. La Germania mi ha insegnato a essere libero ed a sperimentare, proprio perché molti artisti tedeschi hanno il coraggio di apportare innovazioni. Posso passare da uno stile ad un altro, da un soggetto all’altro fino e convogliare molti generi nello stesso quadro”
“L’elemento dell’acqua sembra avere un posto di primo piano, qual è il motivo?”
“Negli ultimi 15 anni il mio atelier si trovava sull’isola Korsaya del Nilo, ogni giorno dovevo attraversare il fiume con la barca, ciò ha condizionato molto il mio lavoro; è uno dei soggetti che preferisco perché lo identifico con l’Egitto e Il Cairo. Ho fatto molte mostre sul Nilo, persino dentro: ho nuotato nelle sue acque e ho raccolto l’immondizia dei suoi fondali facendoci una mostra: “Recycle, Futere Fossils”. Credo di aver dipinto il mare solo una volta nei miei quadri, per me l’acqua è il Nilo”

“Un altro elemento con il quale ha un contatto particolare, sono le persone, le masse, qual è il legame con loro?”
“È iniziato quando sono rientrato dalla Germania, lì vivevo in una piccola cittadina del nord: silenziosa e poco affollata. Quando decisi di tornare, l’unico posto dove potevo vivere era Il Cairo, ma devo ammettere che fu uno shock: milioni di persone, una confusione costante! Iniziai nell’85 a dipingere questa moltitudine … era il momento in cui stavo cercando me stesso, la mia identità dentro le masse, dipingerle era come cercare lo spazio tra me e queste milioni di persone”
“Spesso nella pittura egiziana, il modo di essere figurativo può sembrare infantile, o connesso ai geroglifici dell’antico Egitto, figure fisse e immutabili. Perché questo vincolo con quell’epoca da parte di molti pittori egiziani?”
“La nostra cultura non è astratta, ma è unita alla natura umana, sono gli uomini che costruiscono la cultura, e non viceversa, e la cultura egiziana è fatta dagli uomini. Ci sono paesi che hanno acqua, terra fertile, paesaggi mozzafiato … ma non hanno cultura. La cultura egiziana è fatta dalle genti d’Egitto. Il corpo umano si muove in un modo unico, particolarmente quello degli egiziani, che non parlano solo con le parole, ma con il proprio fisico. Per esempio quando ero a Tahrir durante la rivoluzione, osservavo ossessivamente come le persone si muovevano creando composizioni, in movimenti eleganti, come onde; si spostavano come una massa uniforme verso un unico punto, o si univano in cerchio, o camminavano in linee, o pregavano allineati … le persone creavano quadri usando il corpo”
“L’Egitto ha una società maschilista, incentrata su un ru

olo forte dell’uomo, ma nei suoi quadri la donna è sempre presente, qual è il posto che ricopre per lei?”
“Se si guarda la società egiziana da fuori, si pensa che sia incentrata sull’uomo, perché ufficialmente è quello che conta di più, però la donna svolge un ruolo ancora più profondo, che non si vede dall’esterno. Esiste una vita parallela, segreta, sotterranea e più intima che è maggiormente sotto l’influenza della donna. Nei miei dipinti si nota la stessa cosa: la donna è là, ma mai appare in prima linea, o come soggetto dominante. Forse la rivoluzione cambierà questa prospettiva, proprio perché la donna vi ha giocato un ruolo importante. Durante la rivoluzione la piazza era piena di giovani ragazze che esprimevano i loro punti di vista, dialogando con gli altri, assumendo un ruolo importante e fondamentale”

“La sua pittura è molto concettuale, ma non sembra esserne imprigionato, quale è il segreto?”
“L’artista svolge un’attività rilevante dentro la società, aiutando a costruirla. Negli ultimi 15 anni mi sono concentrato su determinati soggetti che risvegliano qualcosa negli spettatori. Nei miei lavori parlo di democrazia, d’identità, delle città da diverse prospettive … è un dovere per l’artista essere coinvolto, per aiutare la società a riconoscere se stessa e quello vi accade. Ho deciso di essere un artista impegnato, rispondendo alle domande e alle mutazioni della società.
Incentro il mio lavoro su un’idea, poi redigo un piano perché prima di posare il pennello sulla tela, m’informo su tutti gli aspetti possibili facendo ricerche in biblioteche o su internet, parlo con persone, scatto foto e registro video”
“In “Nostalgia” lei getta uno sguardo retrò verso i tempi passati d’inizio secolo scorso, un Egitto lontano, eppure in un dipinto lei ritrae un prete, un imam e un militare. Sembra così attuale se si guarda dentro il contesto della rivoluzione di gennaio, non si è sentito in un certo senso precursore?”
“Feci due mostre su questo concetto che trattava il periodo prima della rivoluzione del ’52, in cui gli egiziani si sentivano sicuri di sé. La società di allora si stava incamminando verso nuovi traguardi, la classe media stava crescendo e costruendo se stessa in modo da esprimere la propria cultura. Uno dei maggiori problemi in Egitto oggigiorno è la mancanza di un ceto medio: o ricchissimi o poverissimi; questa assenza è pericolosa, perché se non esiste, non esiste neanche la democrazia, la mostra era incentrata proprio su questo discorso.

Molti degli argomenti di cui parlavo nei miei quadri sono gli stessi usciti fuori con la rivoluzione: la mancanza di democrazia, la presenza costante dell’esercito, le associazioni religiose, la scomparsa della classe media … tutte problematiche che incominciavano a essere chiare e sentite dalla popolazione. Nella mia mostra, “Street talks”, denunciavo la corruzione, il bisogno di cambiare presidente, la povertà … è stata allestita a Dubai, in Bahrein, in Germania e in molti altri posti, ma ovviamente non mi è stato permesso in Egitto, persino le gallerie private si rifiutarono.
Queste denunce erano molto attuali, ma penso che in Egitto ora dobbiamo pensare all’arte in una maniera differente, senza essere dipendenti dall’occidente. Dobbiamo concentrarci sull’arte egiziana contemporanea, pensare in maniera indipendente, senza una ricerca ossessiva di ciò che può piacere o no all’estero, e con la necessità di porsi domande vere e reali”
“Si può dire che la rivoluzione sia stata iniziata da giovani delle classe media?”

“Solo parzialmente, è stata supportata da tutti: poveri, giovani, anziani, donne … Attraverso l’accesso a internet, i giovani egiziani trovavano le libertà di espressione che il regime impediva, avevano la loro realtà virtuale dove potevano ottenere ciò che la società inibiva. Quando il governo il 28 gennaio ha tagliato internet, ha commesso un grande errore: tutti sono scesi in piazza per capire quello che stava succedendo. Il 25 ero in strada con la gente, non tutti erano giovani, tutti gli strati sociali erano rappresentati. Certo, c’era bisogno di qualcuno che iniziasse la rivolta, ma aveva bisogno di un supporto, e tutta la società glielo ha fornito
Personalmente feci una rivoluzione in scala minore nel 2006 nell’isola dove lavoravo. Dei costruttori volevano cacciare la gente che ci viveva allo scopo di costruire alberghi per turisti. Facemmo una grande protesta e dimostrazioni in strada, bloccammo le ruspe e andammo in tribunale dove vincemmo la causa. Vennero con pistole e agenti antisommossa per spaventarci, ma non riuscirono a sbatterci fuori. Quella fu la mia prima rivoluzione vittoriosa”
“Secondo lei, gli egiziani hanno dovuto fare un’altra rivoluzione uccidendo quella del ’52 per trovare la propria identità?”
“Sappiamo che quella non fu una vera e propria rivoluzione, fu iniziata dall’esercito e mantenuta nel suo ambito. Quando i militari iniziarono ad aprirsi alla società, la rivoluzione era già stata tradita. L’esercito ha governato fino al risveglio attuale. Ora vedremo come andrà a finire, perché i militari vogliono rimanere ai loro posti di comando, vogliono mostrare i muscoli mentre la società civile lotta tra mille difficoltà … sono convinto che avremo bisogno di una terza rivoluzione perché in questa fase nessuno è soddisfatto, ci sono troppi soggetti che vogliono interferire: nazionali e internazionali, attori che vogliono rubarci la rivoluzione”
“Spesso omette i lineamenti del viso delle persone, che significato ha?”

“Il volto esprime tutto, descrive il carattere di una persona. Quando tralascio i lineamenti è per denunciare la mancanza di libertà, perché non abbiamo neanche la libertà di esprimere noi stessi e mostrare i propri sentimenti. La mostra “Scene quotidiane del Cairo”, era una dimostrazione silenziosa, per dire che non siamo d’accordo, che non partecipiamo con il regime. Prima del 25 gennaio si potevano denunciare alcuni soprusi e ingiustizie solo in maniera sotterranea”
“All’oasi del Fayyum, nel villaggio di Tunes sulle sponde del lago Qarun, lei ha aperto un centro di pittura, un laboratorio di scultura, un museo e una libreria, quale è stata l’esigenza?”
“Negli ultimi 30 anni i vari ministri della cultura hanno costruito tutto in funzione de Il Cairo e per i ricchi, senza curarsi del resto del paese. Così decisi che se avessi avuto soldi a sufficienza, avrei costruito un centro culturale, ma non nella capitale. Fayyum è lontana 80 km da Il Cairo, una distanza ragionevole. Non c’era niente là, nessuna attività artistica. Aprire una scuola d’arte a Tunes, significava aiutare lo sviluppo non solo culturale dell’area. Volevo un luogo dove le persone venissero solo esclusivamente per quel posto.
A Fayyum cerco di fare qualcosa in cui ho sempre creduto: l’arte è un modo per unire le persone, egiziane e straniere. Ogni anno a febbraio facciamo un workshop in cui tutti possono partecipare gratuitamente, ci si può iscrivere anche su Facebook. Per sei settimane persone sia locali che da tutto il mondo convivono fianco a fianco: cucinano e mangiano insieme, dormono sotto lo stesso tetto, discutono idee e punti di vista. Dopo quest’esperienza ritornano a casa con un patrimonio personale più ricco. Per me è importante non solo parlare, ma realizzare le idee. Il successo del centro è davanti agli occhi di tutti, anche se preferisco non pubblicizzarlo troppo perché deve rimanere un’esperienza intima e non commerciale, preferisco che venga chi è veramente interessate al progetto.

Presso il centro è stato installato un museo delle caricature. L’Egitto ha una delle scuole più antiche al mondo insieme a quella inglese. Quest’arte stava scomparendo, così ho incominciato a collezionare caricature, ora ne possiedo più di 500 di cui una datata 1927”

“Quindi ha visto positivamente l’uscita della rivista Tuk Tuk (vedi Alias 14 marzo 2011) lo scorso gennaio?”
“Molto. Conosco Mohamed Shennawy e gli altri ragazzi. Le caricature sono importanti perché riescono a estrapolare un immaginario del tessuto e dell’antropologia sociale che sfugge all’occhio superficiale e frenetico della vita moderna”
“Potremo dire: no arte, no cultura e quindi no democrazia?”
“Se non c’è democrazia, non c’è libertà, conseguentemente neanche arte. La rivoluzione può portare la democrazia che supporta l’arte, come l’arte indipendente può iniziare un processo rivoluzionario come è accaduto per l’Egitto”
“Come è cambiata la sua pittura negli anni?”
“Sono un artista che crede nella gente e nel tempo. È un assioma che quest’ultimo non si può fermare, quindi per mostrare questo trascorrere del tempo, devi essere in grado di intrappolarlo nei quadri, e non a parole. Come riconoscerlo? L’arte, ne è una sua espressione. Mi sento parte di questo tempo e di conseguenza anche il mio stile cambia a seconda delle mie stagioni. Sperimentare è una componente importante, come nella strada: le persone sperimentano e improvvisano nei loro movimenti senza rendersene conto”
“Quale è stato il suo coinvolgimento nella rivoluzione? E come il suo lavoro cambierà di conseguenza?”

“Ho partecipato dal primo fino all’ultimo giorno. Ero insieme a migliaia di persone sul ponte Qasr El Nil cercando di raggiungere Tahrir, respirando i gas lacrimogeni e lottando contro la polizia per riuscire a occupare la piazza. Era fondamentale supportare i giovani che erano a Tahrir, confortarli nei momenti di bisogno, rispondere alle loro domande su quello che stava accadendo, dar loro coraggio. Dalla comunità che appoggiava la rivolta racimolavo soldi, cibo, bevande, coperte, bende … per portarli a chi rimaneva in piazza. Durante quel processo ho dipinto pochissimo, però ho scattato molte foto, che ho usato e manipolato con la pittura. Ho partecipato alla rivoluzione con il corpo e il cuore; ho ospitato migliaia di giovani nel mio atelier e, essendone il presidente, nella galleria Cairo Atelier, luogo che ho aperto 24 ore al giorno per far riposare e curare la gente, proteggere i giornalisti stranieri e locali che si dovevano nascondere dalle persecuzioni del regime. In piazza abbiamo tenuto letture sulla rivoluzione, cercando di dare risposte ai volti smarriti dei ragazzi”
“Possiamo dire che le persone più grandi come lei ed Al Aswani (vedi Alias 16 luglio 2011), hanno giocato il ruolo dei padri protettori della rivoluzione, soprattutto a livello psicologico?”

“Ho incontrato Al Aswani molte volte in piazza. Centinaia di ragazzi correvano da lui per fargli domande su quello che sarebbe successo dopo, sul futuro, sulla democrazia, sui militari … sì, è stato importante avere persone come lui, come me e altri intellettuali che supportavano psicologicamente i giovani che erano a Tahrir. Era un interscambio continuo: incoraggiavo gli altri ma a loro volta m’infondevano un senso di sicurezza, perché spesso mi è capitato di aver paura per la mia stessa vita.
Molti altri hanno studiato per anni e anni all’università, ma quei 18 giorni in piazza hanno insegnato loro più di tutti gli studi che avevano fatto. È stata un’esperienza unica. Devo dire che i primi giorni dopo le dimissioni di Mubarak è stato difficile fare a meno di quel pathos, di quel momento e di quel luogo. È una sorta di depressione, ma ne è valsa completamente la pena, non tornerei mai indietro. Ora la società egiziana è permeata d’idee e in pieno fermento artistico e culturale”
Mohamed Ablaa ha già traslato l’esperienza della piazza nei suoi quadri. Non ha mancato di rispetto alla rivoluzione, perché l’ha vissuta da dentro, ogni giorno, e a volte l’unico modo per allontanare ed estirpare quella sensazione di vuoto che rimane dopo un coinvolgimento così intenso, è parlarne, o comunicare quelle emozioni attraverso la tela e i colori che lui ama tanto, come il suo Cairo e la sua moltitudine rivoluzionaria.
[…] – https://altrome.wordpress.com/articolo-pubblicato-sul-manifesto-lacqua-e-il-nilo/ […]
[…] Painter Mohamed Ablaa (30-07-2011) […]