Il referendum tenuto in Egitto lo scorso marzo, è utile per comprendere i motivi che sono alla base delle rivoluzioni del mondo arabo, ma è anche di vitale importanza per capire quale sarà la direzione che il Medio Oriente prenderà nel breve-medio futuro.
Gianluca Parolin è un costituzionalista italiano che insegna diritto comparato presso l’Università Americana del Cairo dall’agosto del 2008. Attraverso le sue risposte si cercherà di capire quale è la strada intrapresa da uno dei grandi attori delle rivolte politiche nel Medio Oriente: l’Egitto. Il professor Parolin si è laureato presso l’università di giurisprudenza di Torino discutendo la tesi “Califfato e forme di governo nel mondo islamico” e ha terminato il dottorato di ricerca in diritto pubblico e comparato nel 2006.
“Iniziamo con una domanda generica: cosa pensa del referendum per l’approvazione delle riforme costituzionali tenuto lo scorso marzo in Egitto?”.
“La decisione d’indire un referendum è stata affrettata, in quanto non era l’unica soluzione possibile”.
“In che senso?”.
“Premetto che dal punto di vista del diritto, la costituzione egiziana non è male. Mi spiego. È stata emanata nel 1971 con una chiara impronta socialista e quindi incentrata a una particolare attenzione ai diritti sociali. Ovviamente, come ogni costituzione, è perfettibile in alcune sue parti, ma non per questo è da scartare, anzi. Durante gli ultimi quarant’anni per sua sfortuna ha dovuto convivere con la legge d’emergenza che ne ha in parte sospeso l’operatività, limitando i diritti dei cittadini”.
“Quindi eliminando la legge speciale sullo stato d’emergenza si potrebbe tornare alla normale dialettica politica, cioè ritornare dentro binari più democratici”.
“Teoricamente sì, ma dal ’71 ad oggi i poteri del presidente sono progressivamente aumentati, quindi è importante che ci sia un loro contenimento. Il problema non era tanto la costituzione, ma come il regime se ne sia servito. I peggiori abusi del regime, non sono stati commessi per i principi e i valori che la carta costituzionale emana, ma sotto la legge d’emergenza che ne sospendeva buona parte”.
“Quindi gli emendamenti approvati dalla commissione costituzionale nominata dalle forze armate sono importanti nel poterla rilanciare?”.
“Ho i miei dubbi. La costituzione prevede una procedura particolare per essere modificata: una prima votazione a maggioranza assoluta, e una seconda con una maggioranza dei due terzi da parte del parlamento, in ultimo l’approvazione referendaria”.
“Ma agli occhi degli egiziani, il parlamento incaricato dalla procedura era screditato in quanto eletto durante il periodo di Mubarak con maggioranze bulgare; infatti il Partito Nazionale Democratico (PND) aveva in parlamento il 90% dei seggi”.

“In primo luogo, la prima decisione dell’esercito dopo le dimissioni di Mubarak è stata l’annullamento delle camere e la sospensione della costituzione vigente. Dopo di che, in completa deroga alle norme costituzionali e non rappresentativa della volontà del popolo, ha nominato la commissione di dieci giudici incaricata di emendare la costituzione. A questo punto c’è da chiedersi, non poteva esserci un’altra soluzione visto che già veniva derogato il procedimento costituzionale di modifica della stessa? Se il consiglio Superiore delle Forze Armate non ha seguito già dall’inizio la procedura costituzionale, perché prenderne solo un pezzo, appunto il referendum?”.
“Già, perché?”.
“Per garantire legittimazione alle riforme apportate alla costituzione fuori dalla procedura stabilita dalla stessa”.
“Allora sarebbe stato meglio eleggere un’assemblea costituente come era accaduto in Italia alla fine del ventennio fascista”.
“Il fascismo aveva ristretto le libertà politiche per vent’anni, qui ci troviamo in una realtà in cui sono state completamente inesistenti da circa sessant’anni. Quindi in Egitto non esiste un quadro politico che possa permettere elezioni generali immediate. Come molti costituzionalisti hanno fatto notare, c’era bisogno di un periodo in cui ci fosse un’apertura degli orizzonti, ossia un periodo in cui le varie correnti politiche riuscissero ad organizzarsi per poter poi competere nelle elezioni. Perché se venissero indette le elezioni generali subito, molti dei partiti non avrebbero la capacità di organizzarsi, e succederà quello che è accaduto già nel referendum: l’incapacità di mobilitare l’elettorato. Indire le elezioni politiche oggi, danneggerebbe le nuove forze politiche. In Italia dopo Mussolini, esistevano già i vari partiti, ed erano organizzati, qui no”.

“Lo stesso problema si sarebbe avuto nel caso in cui doveva essere eletta un’assemblea costituente?”.
“Certo, ma come sarebbe stata composta? Sarebbe stato meglio fare una dichiarazione costituzionale che dicesse ai cittadini quali fossero le loro libertà, i loro diritti, come potevano costituire un partito politico, come potevano esercitare le proprie libertà politiche … oggi in che situazione si trova l’Egitto? Con la sospensione della costituzione più il coprifuoco, in questo modo come fanno le forze politiche ad organizzarsi? Vige ancora la legge d’emergenza, sebbene poco rispettata, e se siamo più di cinque in strada, siamo dei sospetti criminali. O si mantiene l’organizzazione dei partiti politici in uno stadio di illegittimità forzata, o si aprono le possibilità per organizzarsi”.
“I giovani shabeb di Tahrir proponevano prima del voto referendario di nominare una commissione di 201 giudici che avrebbero redatto la nuova costituzione ex-novo, non le sembra una scelta migliore rispetto a una di soli dieci componenti?”.
“Anche questa non è una soluzione logica, in quanto a sua volta non rispetta la volontà del popolo. Inoltre, chi avrebbe dovuto eleggere i giudici? Ci troviamo nello stesso problema dell’eleggere un’assemblea costituente. Ripeto, sarebbe stato meglio dare il tempo sufficiente ai partiti per permettere di organizzarsi, iniziare un dibattito politico all’interno della società, e successivamente scontrarsi alle elezioni generali. Ad oggi ci sono solo i Fratelli Musulmani e il PND che sono sufficientemente organizzati per affrontare delle elezioni, gli altri partiti sono quasi tagliati fuori e totalmente inesistenti fuori dai grandi centri urbani”.
“Però è da considerare che purtroppo i tempi tecnici per l’evoluzione democratica di un paese non vanno di pari passo con quelli dell’economica. Infatti il 24 marzo, la borsa egiziana, che era chiusa dal 27 gennaio, ha dovuto chiudere dopo soli 45′ di contrattazione per riaprire successivamente in giornata. Gli investitori stranieri hanno venduto più di quello acquistato, al contrario di quelli egiziani. Alla fine la seduta ha visto volatilizzarsi 6,2 mld di dollari. Non c’è ombra di dubbio che la precarietà politica non aiuta di certo il mercato del libero scambio. Anche la popolazione egiziana ha fretta di vedere un cambiamento veloce e vuole ritornare a una certa stabilità e crescita economica”. La risposta del dottor Parolin è immediata ma poco sensibile al lato economico della faccenda.
“Purtroppo c’è un prezzo da pagare per avere una democrazia, il momento riformatore era questo e ho la vaga sensazione che si è perso o si sta perdendo”.
“Veniamo alle modifiche proposte dalla commissione dei dieci, qual è il suo punto di vista rispetto alla riforma dell’art. 75 della costituzione che prevede l’esclusione alla presidenza del paese per i candidati che possiedono doppio passaporto o nazionalità?”.
“È interessante osservare per primo la modifica dell’art. 76 con la quale sono stati ridotti sensibilmente i requisiti richiesti per candidarsi alle presidenziali; allo stato attuale la procedura è estremamente semplificata rispetto al passato. Per l’opposto la riforma dell’art. 75 ne limita invece il numero di partecipanti. Pensi a quanti egiziani di rilievo hanno preso all’estero la doppia cittadinanza e per questo verranno automaticamente esclusi. Lo stesso Baradei ne paga le conseguenze, sebbene continui a ripetere di non possedere altre cittadinanze all’infuori di quella egiziana. Quindi, c’è da chiedersi come facevano gli elettori a votare gli undici emendamenti proposti in un’unica bozza nel referendum, i quali andavano in direzioni opposte? È curioso come i miei studenti egiziani di diritto siano a favore di tale norma, perché secondo loro garantisce la fedeltà del candidato agli interessi della nazione e non a quelli di un paese straniero”.
“Potrebbe essere dovuto alla forte spinta di orgoglio in senso nazionalista dopo la recente rivoluzione? Come una nuova consapevolezza della propria nazionalità?”.
“Potrebbe essere, non lo escludo. Le faccio notare che l’art. 75 è per alcuni versi è sì ermetico, ma anche innovativo”.
“Sotto quale aspetto?”.
“Introduce per la prima volta ma in modo non chiaro che anche le donne possono candidarsi alla presidenza, sebbene non fosse escluso neanche prima. L’articolo dichiara apertamente che il candidato non deve avere una moglie straniera, indicando chiaramente il gentil sesso, e non può essere sposato a un non egiziano, usando un chiaro termine maschile”. Ne sarà felice Nawal Sa’awani, femminista egiziana di lunga data, che nel 2005 si era presentata solo simbolicamente alle elezioni presidenziali sfidando Mubarak.
“Nei giornali e nell’opinione pubblica si parla molto di trasformare la repubblica da presidenziale a parlamentare, se così fosse, alla fine il presidente avrebbe un ruolo sminuito, e quindi tutte le discussioni e le riforme che lo riguardano diventerebbero poco attinenti?”.
“Non si sa ancora se tale indirizzo verrà preso, la commissione costituente non si è espressa in materia. Indubbiamente le prossime elezioni saranno focalizzate su un sistema presidenziale, con la limitazione del mandato da 7 a 5 anni e per alcune funzioni del capo dello stato. Il problema fondamentale è quale organo politico eleggere per prima: il presidente o il parlamento? La commissione vede come priorità l’elezione del secondo, mentre le forze politiche in campo sono divise: quelle meno organizzate sarebbero penalizzate, e perciò preferirebbero le elezioni presidenziali prima, in modo da puntare tutto sulla personalità del candidato in sede di campagna elettorale, ovviando in questo modo alla carenza organizzativa”.
“Per avere uno sviluppo democratico del paese non dovrebbe essere cancellata completamente la parte della costituzione che include l’art. 2, il quale indica che i principi della sharia (enunciati nel corano) sono fonte della legislazione ordinaria? Infatti la laicità dello stato può garantire una giusta dialettica religiosa”.
“Per come è stata fatta la campagna per il referendum ho i miei dubbi che scomparirà dalla costituzione. La laicità vale se la si guarda dal punto di vista liberale, od occidentale, ma non necessariamente deve essere condivisa in Egitto. Una costituzione deve essere rappresentativa dei valori condivisi della comunità politica, e tenere in conto la storia e la cultura di quest’ultima. Se i valori in oggetto non prevedono una rigida separazione tra stato e religione, e l’islam per l’Egitto rappresenta una componente fondamentale dentro la società, la costituzione ne deve prendere atto”.
“È vero, ma la laicità dello stato non ha di certo fatto diventare l’Italia un paese musulmano, o buddista, anche se le lobby cattoliche hanno una forte pressione politica sul parlamento, mentre l’art. 2 della costituzione egiziana potrebbe portare a uno stato teocratico, sulla falsariga dell’Iran, non è d’accordo?”.
“No, non mi trovo d’accordo. Non è in discussione che l’islam non sia più la religione predominante in Egitto. I Fratelli Musulmani non hanno paura che l’Egitto non sia più una nazione musulmana, ma hanno paura che lo stato non sia più uno strumento dell’islam, perché per loro sono due cose inscindibili; come sono contrari a relegare la religione alla sola sfera privata. Dal loro punto di vista la religione deve rimanere nella sfera pubblica. Quindi non si può avere una costituzione che riduca la religione al privato quando la società la vuole nel pubblico. Una cosa è che la religione sia organizzata e gestita dallo stato, e un’altra che ci sia una comunità religiosa, che non è lo stato, che fa pressione al potere statale per ottenere qualcosa, come è il caso dell’Italia”.

“Quindi questa visione potrebbe avvicinarsi di molto alla concezione di teocrazia o no?”.
“Sono dell’idea che l’art. 2 è esattamente l’opposto a una concezione teocratica. Anziché imporre una certa visione della religione sullo stato, è vero il contrario: sono le autorità politiche che dicono quello che il religioso deve essere, questo prevale nell’articolo 2, il quale a suo modo rappresenta una garanzia di tutela dello stato. Tale articolo costituisce un’espansione dei poteri dello stato, è un suo strumento che legittima le sue decisioni sopra quelle religiose. È l’unica chiave di lettura che si può dare all’art. 2”.
“Ma se un’autorità religiosa prendesse il potere attraverso le elezioni generali, come i Fratelli Musulmani per esempio, potrebbe portare a un’estremizzazione della politica e a un’estensione dell’interpretazione dell’art. 2 in modo da piegare lo stato ai propri fini”.
“L’art. 2 è sempre un rafforzamento dell’autorità dello stato su quella religiosa, sono due aspetti che non coincideranno mai, perché l’autorità religiosa tradizionale è stata fondamentalmente spazzata via in Egitto, non esiste più, è stata interamente statalizzata. Ci possono essere correnti politiche con una certa visione del religioso, ma è diverso dal concetto di autorità religiosa tradizionale”.
“Come i Fratelli Musulmani che si stanno organizzando politicamente”.
“Ci sono loro, i salafisti e la gamaa, che sono in opposizione all’islam politico. Quello che mi preme sottolineare è che tutti questi sono attori politici, non sono autorità religiose nel senso classico, i Fratelli Musulmani non sono un’autorità religiosa, sono un movimento. Persino l’Azhar è stata statalizzata, l’imam è nominato dal presidente della repubblica”.
“Sembra quasi la riforma di Enrico VIII in Inghilterra”.
“L’art. 2 si può interpretare più o meno in quell’ottica”.

Dalle parole del dottor Parolin, che ringraziamo per la sua disponibilità, si nota un certo rammarico per l’occasione persa dal popolo egiziano di iniziare un vero contraddittorio politico, accompagnato dal rimpianto di non aver sfruttato a pieno il momentum referendi per cogliere al volo il vento di riforma e di domanda di democrazia della piazza. Si ha la percezione che le riforme e il processo democratico potessero essere indirizzati diversamente, permettendo di raggiungere una maturità e coscienza democratiche con le dovute tempistiche, senza precipitare gli eventi. Per venire incontro a questa richiesta, forse le forze armate dovevano nominare un governo transitorio che desse fiducia ai mercati, contemporaneamente soddisfacesse le richieste di riforma della piazza e desse un periodo sufficiente ai partiti di organizzarsi. In questo modo i cittadini avrebbero potuto familiarizzare con i propri diritti e con la dialettica democratica.
L’Egitto è un paese chiave nello scacchiere del Medio Oriente, nei decenni passati è stato leader del movimento panarabo e dei Paesi Non Allineati. Quello che accadeva sulle valli del Nilo si riversava in qualche modo su tutta l’area geografica mediorientale, a maggior ragione oggi visto il propagarsi delle rivolte nel mondo arabo. Per questo motivo è importante capire nel breve futuro quale sarà il cammino che prenderà questo gigante di 85 mln di abitanti, proprio per comprendere dove si dirigerà il Grande Medio Oriente, dal Marocco all’Iraq, passando per la penisola arabica. Al momento sono state indette le elezioni parlamentari per settembre. Sarà interessante vedere come si comporteranno i partiti minori meno organizzati rispetto al PND e ai Fratelli Musulmani. Dai risultati elettorali si capirà quale sarà l’Egitto dei prossimi anni.
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