Derive francesi e italiane … non solo mercato


I mercati oggigiorno sembrano impazziti, incontrollati, e sembrano spazzare via ogni residuo di società in cui eravamo abituati a vivere.

Sorge una domanda, perché non assecondarli parzialmente? Mi spiego.

L’euro è un caposaldo centrale, quindi non abbandonarlo. Facendo un parallelo con l’avvento del marco due secoli fa, il quale portò alla unificazione della Germania per come la conosciamo oggi (politicamente, economicamente e socialmente) allo stesso modo l’euro può portare a un consolidamento dell’unità politica europea e delle strutture comunitarie sovranazionali, portando un beneficio a medio e lungo termine. Infatti se si guardano le statistiche (dati Wikipedia), la Germania è il 5° paese in ordine di grandezza del PIL, il reddito pro-capite è al 22° posto; se si escludono i paesi arabi e ricchi solo grazie alle risorse naturali, la Germania si troverebbe a essere tra i primi tre al mondo. Ciò per indicare che a lungo termine l’Unione Europea potrebbe essere un guadagno per tutti gli stati che vi partecipano se si osserva il cammino tedesco. Due secoli fa, quanti dubbi e problemi esistevano nell’allora unione monetaria tedesca? Quanti singoli feudi ponevano barriere e litigavano con il vicino? Certamente, allora la comunanza della lingua tedesca era un vantaggio, ma nel 2011 il problema della lingua, con il libero movimento dei cittadini dentro l’Unione, diventa secondario. Riprendendo l’idea esposta da Sergio Cesaratto (http://sbilanciamoci.info/Chi-scrive/Sergio-Cesaratto-4642), sarebbe auspicabile veder sorgere una “social-democrazia mercantilista” di stampo nord europeo, senza per forza di cose essere antieuropea. Dal punto di vista di chi scrive il keynesimo di stampo tedesco è troppo poco flessibile nei confronti dei rapporti con gli altri stati e soprattutto con la periferia dell’Europa.

Sembra che la deriva dei mercati  stia portando a un’apocalisse, perlomeno per lo stile di vita dei paesi occidentali. La storia insegna che grandissime calamità non hanno mai portato alla fine dell’uomo; quindi questa crisi potrebbe essere un’opportunità per chiederci veramente dove stiamo andando e come vogliamo andarci. Negli ultimi anni ci hanno descritto uno scenario (quello che si sta presentando negli ultimi giorni) in cui avremo dovuto scordarci di vivere come abbiamo vissuto fino ad ora,  stringere la cinghia e  adattarci alla nuova realtà. Ma chi scrive questa nuova realtà? I mercati? Se così, i cittadini potrebbero dire NO, di non essere d’accordo e di studiare e mettere in atto un nuovo modo di fare politica e di pensare la società. Allo stesso modo in cui i cittadini italiani si sono espressi nella tornata referendaria dello scorso maggio, purtroppo in Italia mancano politici di una caratura e spessore personale che non riescono a capire le istanze della popolazione; al contrario, la finanziaria appena varata svende tutto il possibile (articolo di Ugo Mattei su Il Manifesto 15/08/11) di ciò che è pubblico.

Abbiamo raggiunto un livello di vita che anche i nostri padri non si sarebbero immaginati. Abbiamo vissuto più in là delle nostre possibilità? Chi lo ha detto? E anche se fosse vero, perché non pensare di creare un collante sociale in cui singoli cittadini siano coinvolti maggiormente per attenuare queste perdite che ci hanno portato allo stringere la cinghia? Un discorso che si lega al concetto di Democrazia Partecipativa, in cui ogni singolo individuo può fare la differenza dentro e con il collettivo/società. Sembrano discorsi di altri tempi, “comunisti”, ma proprio perché come Europa abbiamo sperimentato molto rispetto al resto del mondo, possiamo continuare a sperimentare senza perderci.

Primo è importante non smettere di puntare sull’alta tecnologia, l’unica che può far fronte ai paesi emergenti, dove sono state delocalizzate la maggior parte delle produzioni europee ed americane. Ormai esiste un forte conflitto tra i paesi emergenti e quelli post-industrializzati; ci troviamo in una condizione di “guerra aperta” tra questi due blocchi. Secondo fare i modo che ci sia un coinvolgimento dell’intera società europea verso  un mutamento degli assi e dei principi su cui si basa oggi l’Unione. Per come eravamo abituati e per la strada verso la quale ci dirigiamo, sembriamo costretti all’abisso, allora perché non fare un atto di coraggio e enunciare nuovi principi e nuove linee guida verso le quali e sulle quali poter scrivere il nostro futuro e quello delle generazioni che ci seguiranno? E senza rendere troppo conto ai mercati finanziari che a lungo andare pensano solo al proprio interesse? La crisi del 2008, come quella odierna, è stata, come ben noto, una crisi finanziaria, che dovevano pagare le banche e che sono stati i cittadini a pagare, e per giunta i più deboli.

Quando Marx ed Engel scrissero il loro Manifesto, quanti aderirono a questa dichiarazione anonima? Pochi intellettuali. Era una dichiarazione impersonale e utopista, non c’era persona comune che credeva in quello che vi era scritto. Solo grazie ai movimenti del socialismo che  spronarono le coscienze collettive del secolo passato a prendere consapevolezza e a lottare per i propri diritti; con il tempo molto di quello che vi era stato dichiarato si realizzò, o si è realizzato, materializzandosi e adattandosi alla situazione contingente, almeno in Occidente, senza rimanere chiuso dentro indottrinamenti estremi (se si esclude il blocco dell’Urss e dell’est europeo). Nel 1989-91, il Comunismo ha mostrato il suo fallimento (almeno quello messo in pratica a paertire dalla Rivoluzione Russa); c’è da porsi una domanda: nel 2007-08, il Capitalismo  a sua volta ha mostrato il suo fallimento? Per antitesi, la Cina, paese “dichiaratamente” comunista, è diventato il primo paese capitalista al mondo, anzi, si dovrebbe parlare di “capitalismo di stato” a tutti gli effetti. In parte ciò si ricollega alla teoria marxiana, enunciata ne “Il capitale”, che il capitalismo abbia successo fino al suo stesso annientamento prima dell’avvento del vero comunismo? (È forse la direzione della Cina?) Ovviamente al momento non si possono dare risposte definitive, perché come dimostrano le religioni, ogni estremismo è annientatore e deleterio, perlomeno per come è strutturata la società oggigiorno, (come può esserlo un indottrinamento estremo, sia comunista che capitalista). A meno che non ci troviamo al “ritorno del ciclo” della teoria vichiana della storia.

È arrivato il momento di cambiare? Di strutturare la società in qualcosa di diverso dai numeri con i quali il liberismo sfrenato definisce le persone e i cittadini? In Europa c’è una consapevolezza per la bio-diversità, la bio-produzione, la cura dell’ambiente, l’inquinamento, l’ambiente … una consapevolezza che appena 40 anni fa era impensabile ed ora è un fattore dominante che si va allargando. Concetti che Marx non avrebbe mai potuto contemplare analizzando l’allora società in fase di piena industrializzazione. I mercati finanziari vanno in una direzione opposta a questi valori, o spesso li assecondano solo di facciata, creando quel glamour di interesse fine a se stesso, o fine agli interessi della finanza che a lungo andare schiaccia e sopprime questi nuovi valori che molti individui hanno fatto propri.

Un altro punto a cui ha portato il neoliberismo, è stato l’extra lusso, che in una democrazia è accettato quando il resto della popolazione sta bene, e la maggior parte della ricchezza è per lo più equamente redistribuita. In uno scenario simile, nessuno avrebbe da ridire  nei confronti di chi sia ultra ricco e super agiato. Ma quando invece le cose non funzionano e gli ultra ricchi continuano a fare guadagni astronomici e la maggior parte della popolazione arranca, soffre e non arriva a fine mese, significa che c’è qualcosa che non funziona nel sistema. Si creano tensioni sociali, una giustizia alternativa di cui ognuno crede di essere detentore. È una situazione che genera degli squilibri. Si assiste al diffondersi della paura e del contrasto tra i cittadini, alla ricerca ossessiva di un leader che sappia proteggere i propri interessi particolari, il proprio status senza pensare ai veri interessi comuni. Alla fine, l’altro non è solo l’immigrante, ma anche il vicino di casa, colui che può intaccare le sicurezze ottenute od ereditate, perché si va erodendo la cultura di solidarietà tra i cittadini.

Si assiste alla creazione di città satelliti dove l’élite si isola, circondata da polizia privata e mura alte, un feudo, o una signoria che a sua volta crea fratture nel tessuto sociale. Se è questo l’obiettivo che la società si pone a lungo termine, e al quale ogni individuo anela nella speranza di entrare dentro quelle mura protette e agiate, allora che si segua il cammino segnato fino ad ora dai mercati; gli stessi che propongono una micro-Dubai in ogni capitale del Medio Oriente, smantellando l’architettura e il tessuto storico, culturale e sociale delle città che durano da millenni. Se si vuole seguire questa strada, si deve essere consapevoli che la dose di sacrifici richiesti oggigiorno, nel futuro sarà raddoppiata e triplicata, aumentando proprio quelle tensioni esposte nel capoverso precedente. Allora ben vengano i Berlusconi di turno, il populista che grida la sua verità, annientando i diritti dei cittadini e dei lavoratori.

L’Europa è stata tra le prime al mondo a rispettare i diritti dei cittadini attraverso la democrazia. Ora si parla di competere con la Cina, con il Bric, con gli USA… perché non segnare un nuovo cammino verso cui gli altri guardino come esempio? La coesione dei paesi membri può essere rinsaldata fintantoché si faccia capire che i diritti non combaciano con i soldi,  con la mera ricchezza monetaria, ma con quella tecnologica, umana, storia, civile, sociale, ambientale, lavorativa … Occorre creare un’agorà che non sia solo sulla carta o di una minuscola élite, ma reale che coinvolga la maggioranza dei cittadini europei, per una democrazia più partecipativa che non esista solo nei social network. Come? Appianare le disuguaglianze e la re-distribuzione della ricchezza sarebbe già un modo per attenuare le tensioni sociali che si annidano sempre in un paese, o in una regione, dove le discrepanze creano disagio, povertà e insicurezza. Perché il senso e l’obiettivo della democrazia sono il raggiungimento di un benessere collettivo, con sfumature ovviamente, non la creazione di sacche di super privilegiati con miriadi e miriadi di diseredati … se così fosse, non si chiamerebbe più democrazia.

Nei decenni passati si parlava della forbice tra ricchi e poveri si sarebbe allargata; il divario si è allargato anche dentro le stesse società post-industrializzate. Per invertire questa tendenza, e per mettere in atto i principi esposti in questo articolo, mancano i statisti politici, che abbiano una visione meno riduttiva di quella attuale. I movimenti nel sotterraneo esistono: no global, lavorativi, sindacali, ambientali … ma mancano i leader capaci di guidare verso un futuro diverso. Un atto di coraggio servirà non solo a cambiare la rotta di navigazione, ma può salvare dall’abisso più di mezzo miliardo di cittadini europei che sono stanchi di politiche arriviste che servono solo per pochi; c’è bisogno di un atto di coraggio per creare uno stato sovranazionale che non guardi solo agli interessi minoritari, ma ritorni ai principi della democrazia e dello stato di diritto.

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