Generazione FB


La generazione Facebook egiziana è nata tra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del governo di Mubarak. Fin da piccoli hanno ascoltato le storie di un Egitto vivibile dagli anni ’50 fino alla fine dei ’70. I nonni erano orgogliosi della rivoluzione del ’52, i padri della guerra del ’73. Allora c’era un Egitto per ogni egiziano, i prezzi erano calmierati, si guadagnava poco un po’ tutti, ma tutti avevano una casa e da mangiare in abbondanza. Mubarak invece aveva regalato il paese alle multinazionali straniere e a quel 5% di tirapiedi dell’élite egiziana che lo circondava, l’unica che poteva permettersi di comprare le lussuose ville delle città satelliti costruite ad hoc nei dintorni delle grandi metropoli (con tanto di piscine, ristoranti, cinema … circondate da alte mura e protette da agenti di sicurezza privati).

La generazione FB vedeva e vede l’Egitto dei padri e quello che hanno ereditato: un sistema educativo carente, un lavoro subordinato a conoscenze e giusti agganci, la povertà riversata in quartieri fatiscenti che facevano da contraltare alle sperequazioni delle ville della classe agiata; miseria, mendicanti e rigattieri di cianfrusaglie e quant’altro sparsi in moltissimi rioni del Cairo e delle altre città egiziane. Il futuro proposto dal governo: nessuno! Unica alternativa: emigrare all’estero.

La generazione FB dell’Egitto era stufa di vedere il proprio paese andare alla deriva e i soliti figli di papà prendere tutti i benefici: scuole e università straniere presenti nel paese (americane, tedesche, inglesi e francesi), viaggi e lavoro all’estero nelle migliori aziende internazionali mentre il resto del paese rimaneva a lottare per non cadere nel fondo, e il fondo in Egitto significa povertà e fame.

La generazione FB è riuscita a fare una rivoluzione pacifica, lottando e occupando la piazza Tahrir, organizzandosi alle entrate della piazza con controlli e perquisizioni a tappeto su tutte le persone che volevano accedere, ma sempre col sorriso sulle labbra o una pacca sulle spalle per infondere coraggio e mantenere la tenacia nella lotta per riprendere in mano il proprio paese. Anche dopo il discorso di Mubarak di giovedì 10 febbraio in cui tutti si attendevano le sue dimissioni che non sono arrivate, la generazione FB ha richiamato a raccolta una manifestazione ancora più imponente delle precedenti in tutte le parti d’Egitto, per rispondere all’arroganza del rais che non voleva arrendersi all’evidenza, per dimostrargli che loro non avrebbero mollato.

Ieri, venerdì 11 febbraio, le strade non riuscivano a contenere la gioia e l’euforia. La gente festeggiava, urlava la parola libertà a squarciagola, i bambini sventolavano bandiere sopra i tetti delle auto, gli adulti sopra i pullman o i camion o arrampicati sulle statue dei personaggi storici egiziani, molte persone si abbracciavano, altre piangevano, altre lanciavano fuochi d’artificio sul cielo stellato del Cairo, altre cantavano la canzone di Abdel Halim Hafiz “ya masr ya masr, habibti masr …” (mio Egitto, mio Egitto, mio caro Egitto …). Un fiume interminabile di persone che marciava verso un futuro diverso anche se gli egiziani ancora non sanno quello che sarà domani.

Una rivoluzione alla Ghandi, ma con la velocità di un click, questa è la rivoluzione egiziana, la prima dell’era della globalizzazione.

 

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