La perdita dell’innocenza
Vivo a Vienna dallo scorso novembre. A settembre del 2010 sono tornato in Italia dopo aver trascorso quattro anni al Cairo. La capitale egiziana è una città immensa, la vista dall’aereo, si di giorno che di notte, è una distesa infinita di case o di luci che si perde oltre l’orizzonte. Credo che ogni viaggiatore o residente ne rimanesse colpito quanto lo ero io. Per quanto possa essere immenso, ci si affeziona al Cairo, la gente ti guarda di sottecchi perché sei uno occidentale e per qualcuno, maggiormente chi è abituato a trattare con gli stranieri, ti squadra per capire come estorcere qualche soldo dal forestiero. Anche i Italia siamo famosi (ahimè) sotto questo aspetto, così li si prende in simpatia, perché alla fine un egiziano è tutto urla senza distintivo, e benevolmente gli si lascia una lauta mancia e si beve del tè insieme.
Gli egiziani imprecano e biasimano il governo ma poi passano la serata allegra in compagnia di amici o conoscenti. Sono sempre orgogliosi del loro recente passato (Nasser, Sadat e Um Kalthum), più che dei loro antichi antenati e per quello che hanno significato per la storia dell’intera umanità. Ti invitano a casa a mangiare con la loro famiglia e a farti vedere quello che conoscono del loro paese. Sono talmente innocenti che monta una rabbia nel vedere come ogni volta subiscono le angherie e i soprusi dell’autorità di turno senza veramente reagire, in uno stato di intorpidimento “che tanto è sempre stato così e sempre sarà così”. Dal 25 gennaio 2011 questo non esiste più.
Gli egiziani si sono svegliati, hanno così perso l’innocenza, hanno incominciato a far parte della storia moderna completando il cammino avviato da Mohammed Ali, di Hoda Sha’rawi, dei fratelli mussulmani, del partito el Wafd, del re Faruk e della finta rivoluzione del 1952, con gli ultimi avvenimenti gli egiziani hanno cancellato lo stereotipo, o etichetta, di eterni adolescenti a cui piace solo scherzare e infischiarsene dei problemi seri in cui verte il paese. Dal 25 gennaio, sono entrato a pieno titolo nel novero dei paesi maturi. È stato un percorso iniziato nel 1806 con Mohammed Ali, però si può affermare che lo stato egiziano moderno nasce nel 2011 perché, per la prima volta in assoluto, il popolo egiziano è partecipe e il principale attore. Il percorso sarà lungo, estirpare più del 40% di povertà della popolazione sarà un’impresa titanica ma non impossibile, l’importante è che finalmente quell’alone di perenni bambini che gli egiziani avevano sia in parte messa alle spalle, e quando si “diventa adulti”, si è capace di fronteggiare una sfida come quella della povertà. Forse la stessa cosa è accaduta in Italia con il boom economico degli anni ’60: la ricchezza ha nel corso degli anni oscurato il carattere gioviale e amichevoli degli italiani e il mito del “Bel Paese”. Il popolo egiziano sembra pronto a prendersi le sue responsabilità nei confronti di se stesso, senza far affidamento su un leader troppo accentratore. Certo, tutto dipende dalle forze militari e dagli USA, ma il popolo egiziano sembra indirizzato a camminare da solo, chiunque sia il suo alleato o amico. Dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011 può esserci una sola via d’uscita, un’ipotetica torsione ancora più autoritaria di Mubarak è solo un posticipare gli eventi, ora gli egiziani hanno consapevolezza della loro forza e di essere allo stesso rango degli europei perché sono stati in grado di affrontare un potere tirannico e poliziesco, sono stati capaci di affrontare le proprie paure e svestirsi di quel manto di apatia che li teneva imprigionati nelle mani del rais.
La perdita dell’innocenza, è così che lo etichetterei il gennaio egiziano. È una soglia dalla quale non si può più tornare indietro. È come parafrasare la mia età: a 37 anni si è ancora giovani, ma non più con quella disillusione che appannava gli occhi a vent’anni, e da dove mi trovo posso solo andare avanti, non si torna più indietro. Pensando che la maggioranza degli egiziani hanno meno di 25 anni, hanno un bel futuro e un bel percorso davanti (almeno me lo auguro). Combattere o protestare come stanno facendo in Egitto, dà la consapevolezza di quello che si è diventati e la fiducia nel futuro.
Ha fatto freddo a Vienna, oggi la temperatura si aggirava intorno ai -10° centigradi, un freddo gelido ma che si accettava con quell’incanto dell’inverno. Barricato in casa, incollato a internet, leggendo giornali italiani, inglesi, arabi e spagnoli per avere più notizie possibili di ciò che stava succedendo in Egitto; sono staso in chat su Facebook con Wieke, un’amica olandese conosciuta proprio al Cairo a sua volta legata al pc per gli eventi in quella terra desertica che sembra così lontana e invece è vicinissima. Ci siamo scambiati informazioni e link ininterrottamente per giorni, in uno stato di apprensione e di euforia, questo sentimento contrastante è stato il minimo comune denominatore di tutti noi esuli. Felicità per la capacità degli egiziani di reagire dopo più di mezzo secolo di sopportazione, l’apprensione per gli amici e per l’intero popolo egiziano ci ha fatto (e ci fa) rimanere con il fiato sospeso, in apnea continua. Meravigliato dalla massiccia mobilitazione della popolazione egiziana in un risveglio che finalmente s’identificava in una coscienza dei propri diritti.
L’ansia era irrefrenabile perché le notizie ad ogni modo trapelavano sul web ma non c’era nessuna possibilità di contattare nessuno in Egitto. La rete era giù, i cellulari erano giù, persino i telefoni di casa … l’inesorabile apparecchio obsoleto che non abbandona mai. La preoccupazione montava di minuto in minuto, quando si è abitati a comunicazioni istantanee e secondo il proprio volere (quante volte ci s’innervosisce solo perché entra una segreteria e il nostro volere viene annullato?) e non avere nessun contatto con i nostri cari, diventa un’agonia, si è in balia delle notizie e dei post che scorrono sul web. Provate a pensare per un istante che la libera scelta possa essere arbitrariamente annullata premendo un solo pulsante: black out!
Ieri, 28 gennaio, verso le sei del pomeriggio guardavo le immagini di Aljazeera online, per un istante tutti si sono bloccati e si sono messi a pregare, mi è sembrata una situazione surreale, mi sono domandato come in una lotta per la propria libertà, nel mezzo di una rivoluzione, come entrambe le parti si possano mettere a pregare nel mezzo di una battaglia (forse nel 1800 durante il nostro risorgimento facevano lo stesso), ma poi mi sono detto che ognuno costruisce la propria democrazia come crede giusto e secondo i propri principi e valori.
Alle 20:00 inizia il coprifuoco, sono minuti colmi d’ansia prima che l’ora scocchi. Timore che l’esercito possa intervenire con una repressione feroce, o che la polizia spari ma non più con pallottole di gomma. Poi vedo le immagini notturne e la gente sfilare davanti ai carri armati, alcune persone li sfidano, altre se ne infischiano e basta, magari perché se ne vanno a prendere una tazza di tè al solito bar. Può sembrare strano, ma in tutto questo orrore e quest’angoscia da spettatore so come sono fatti gli egiziani e per nulla al mondo perderebbero il loro appuntamento con gli amici (Asmaa, un’amica egiziana che riuscirò a contattare il giorno dopo, mi confermerà che nella mattinata del 29 mentre era di ritorno da Alessandria per la presentazione del magazine di Mohammed, molti si sedevano ai bar in barba al coprifuoco!). Mohammed, il compagno di Asmaa, mi svelerà un altro aneddoto. Prima di partire per Alessandria, caricava cartoni del suo nuovo magazine in macchina. I poliziotti che presidiavano le strade prima della battaglia, incuriositi da tutti quei “pacchi sospetti”, lo incominciano a interrogare. Dopo varie spiegazioni aprono uno scatolone e così Mohammed mostra loro una copia. La sommossa è appena iniziata, i poliziotti incominciano a sfogliare e a ridere delle vignette. Forse non avevano capito il casino che in cui si sarebbero trovati poche ore più tardi! Quando pochi giorni dopo internet verrà ripristinata, vedrò il mio amico Mohammed in piazza con una gigantografia di una delle sue vignette che ritrae Mubarak e una scritta “exit” …
… TO BE CONTINUED …
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