
Lobna Darwish, Kazeboun: Un futuro in streaming, PDF Alias
Lobna Darwish è una giovane egiziana di 25 anni, appartiene a quella generazione di attivisti egiziani che hanno iniziato il movimento dei Kazeboun, ossia Bugiardi, per smascherare le menzogne della giunta militare che governa l’Egitto e che continua a controllare la TV di Stato e molti giornali nazionali. L’idea è nata dopo che a dicembre del 2011, quando la polizia militare attaccò i civili che protestavano a piazza Tahrir, una ragazza venne strattonata per terra dai soldati e trascinata per il velo, lasciandole scoperto l’addome; quell’immagine fece il giro del mondo e sbugiardòle politiche dal Consiglio Superiore delle Forze Armate (CSFA).

Lobna, come molti altri attivisti, è inoltre membro del comitato “No ai processi militari contro i civili”, e partecipa alle proteste e ai sit-in davanti alla corte militare de Il Cairo. Queste le sue parole in un’intervista del 1 dicembre 2011 con l’emittente di Al Jazeera: “Votare è una cosa buona, ma le persone scopriranno che non vale niente e torneranno di nuovo in strada quando si renderanno conto che il parlamento è senza poteri e che i partiti politici hanno tradito la rivoluzione”. Lei, come molti attivisti, ha boicottato le elezioni parlamentari perché le considerava una farsa dopo che 40 persone erano morte appena pochi giorni prima negli scontri di novembre in via Mohamed Mahmud. A fine maggio del 2012, ci saranno le elezioni presidenziali e sembrano ripresentarsi le stesse condizioni di allora, perché negli scontri occorsi nel quartiere dell’Abbassia (inizio maggio 2012), vicino al Ministero della Difesa, 15 persone sono rimaste uccise. Una domanda sorge spontanea: chi guadagna dal ciclico disordine presente nel paese?
“Come è nato il movimento Kazeboun (Bugiardi)?”
“A dicembre (2011) quando ci sono stati i duri scontri a Qasr Al Aini al centro de Il Cairo. In quel frangente i soldati e la polizia hanno attaccato violentemente i manifestanti usando sia pallottole vere che di gomma, gettando pietre e molotov dai tetti dei palazzi … e in tutto questo c’è stata una copertura dei media veramente ridicola. Molti cameraman sono stati arrestati, confiscate e distrutte le loro macchine da ripresa; quei giorni c’è stata una vera e propria campagna organizzata dal governo centrale contro i mezzi d’informazione per non far trasmettere in Tv gli scontri violenti che avvenivano in strada”

“Come era accaduto in via Mohamed Mahmud il mese precedente?”
“Esattamente, perché in quell’occasione c’erano le elezioni da svolgere, quindi l’attenzione e l’interesse erano spostati da un’altra parte. Ma a dicembre quello che ha fatto scandalo è stato il video della ragazza con il busto seminudo con il solo reggiseno azzurro a coprirla, mentre veniva colpita e trascinata in strada da una dozzina di soldati. Per diversi motivi questo video è riuscito a scuotere molti egiziani, i quali pensavano che i militari fossero i “buoni” e i ragazzi i teppisti o criminali. Molte persone si sono poste delle domande sull’effettivo ruolo dei militari. Il giorno dopo, uno dei giornali di opposizione, El Dustur (La Costituzione), è uscito con una grande foto della ragazza e con la scritta Kazeboun (Bugiardi) a caratteri cubitali. In quel momento abbiamo capito, come associazione Mosireen, che avevamo bisogno di altri media, perché anche se usavamo internet per postare i nostri video delle ingiustizie commesse dall’esercito, non tutti potevano vederli proprio perché sono online …”. Mosireen è un associazione no-profit al centro de Il Cairo, per promuovere il citizen journalism e l’attivismo culturale. L’associazione è nata subito dopo la rivoluzione dalla volontà di giovani giornalisti indipendenti, film maker e attivisti per trovare uno spazio collettivo dedicato a tutte le tipologie di “citizen media”.
“Intendi perché solo un quarto degli egiziani può accedere a internet?”

“Non solo. Non tutti di quel quarto guardano i nostri video e la nostra propaganda; molto dipende dagli interessi, dall’età, dal sesso e soprattutto se si è connessi al giusto network, altrimenti i video non si possono vedere. Per questo motivo abbiamo deciso di portarli in strada”
“I video sono girati da privati cittadini o da professionisti?”
“La maggior parte da professionisti che lavorano e collaborano con Mosireen. Molti di questi video sono stati girati anche molti mesi fa, alcuni sono stati postati online, altri acquistati dai media o prestati a festival. Però, ad un certo punto, abbiamo sentito la necessità di un nuovo e radicale approccio al contesto che ci si presentava davanti, perché avevamo e abbiamo bisogno di media pro rivoluzione, perché la rivoluzione ha significato proprio questo: prendere gli spazi. Quindi dobbiamo prendere materialmente possesso del paese e delle strade per far una TV artistica che si opponga ai media mainstream. Se Masbiro (la TV di Stato) ha la capacità di entrare nelle case degli egiziani, noi abbiamo le televisioni porta a porta: portiamo proiettori e schermi, quindi “mandiamo in onda” quello che veramente succede in strada”
“Ci sono altri movimenti simile al vostro?”
“Sì, questo è stato il punto di forza del progetto Kazeboun, perché altri immediatamente hanno seguito il nostro esempio. Il lato positivo è che il movimento non è centralizzato, è nato grazie a un pugno di persone che hanno iniziato con due o tre proiezioni e insegnando alla gente comune a fare lo stesso, nel proprio quartiere o nella propria città. Mosireen fornisce supporto logistico, materiali, video, schermi, proiettori … forniamo i mezzi in modo che tutti possono portare avanti il progetto senza che nessuno lo controlli”

“Quindi, quali altre città in Egitto sono coinvolte?”
“Alessandria, Rosetta, Suez, Luxor, Assuan, Mansura, Port Said … la cosa buona è che il movimento continua ad andare avanti autonomamente. Spesso veniamo a conoscenza di proiezioni solo una volta che già sono avvenute, ciò costituisce un innegabile punto di forza. È la base che conta, se fosse solo un movimento centralizzato, sarebbe coinvolto solamente Il Cairo, forse Alessandria e Suez”
“Come è la reazione della popolazione?”
“Varia da zona e zona, dalla classe sociale, dall’educazione personale e altre componenti. Il nostro trucco è quello di montare i proiettori e lo schermo il più velocemente possibile, perché nei primi 10-15 minuti di preparazione è quando le persone vengono a chiedere che cosa stiamo facendo e perché, a volte insultandoci e cercando di cacciarci dal quartiere. Questo è il momento di maggior confronto con i residenti; ma una volta che l’immagine scorre sullo schermo, ognuno si ferma a guardare, con molta attenzione. Nessuno si permette di dire che siamo dei bugiardi o che abbiamo usato photoshop. Nella maggior parte dei casi le persone rimangono scioccate, anche quelle che magari avevano visto i video già precedentemente, perché contengono qualcosa di molto potente, soprattutto quando li si guarda in compagnia dei propri vicini di casa. In questo caso si è costretti a prendere una posizione rispetto alla situazione politica del paese; alcuni magari si preferiscono rimanere a casa per non avere problemi, altri invece pensano che le cose non possono continuare in questo modo e che bisogna agire. Ogni individuo si trova nella posizione di non poter ignorare le immagini che sta guardando, perché le responsabilità che implicano sono enormi ed è facile scappare o fare finta di nulla, ma insieme a altre 400 persone non si ha il coraggio di negare quello che scorre davanti ai propri occhi”

“Come è strutturato il progetto, andrà avanti ancora per molto?”
“Il progetto sta cambiando forma. Nella fase attuale non è solo concentrato sulle bugie dei militari, ma anche su altre questioni: i diritti umani, la libertà, la crisi economica, l’inflazione, il salario minimo, la copertura sanitaria, la pensione, l’istruzione … quindi il passo successivo sarà parlare di questi argomenti in maniera più approfondita e sensibilizzare i cittadini, perché sono aspetti che toccano la vita di tutti i giorni”
“Tutto questo sarà ancora attraverso i video?”
“Una specie di documentario dove vengono intervistate persone dalla strada ma anche altre competenti su questi argomenti, quali professori universitari; filmeremo i fatti di quello che succede nel paese e la realtà della vita giornaliera, dove molti non riescono ad ottenere un pezzo di pane per sfamarsi durante il giorno. Un numero consistente di persone è convinta che quello che succede a Tahrir non li riguarda, ma l’elettricità, il gas, la pensione, il pane … sono tutte necessità che riguardano la vita quotidiana. Uno degli obiettivi è anche quello di da far capire al popolo che la rivoluzione è interessata a questi aspetti”
“Possiamo dire che Kazeboun cerca di portare Tahrir nelle città dell’Egitto?”

“Non solo in diverse città, ma anche dentro lo stesso Il Cairo, perché la rivoluzione è rimasta ferma a Tahrir, e il resto della metropoli non riusciva a vederla se non attraverso la TV di Stato. Ora invece riusciamo a portare i semi della rivoluzione anche in quei quartieri che erano rimasti marginalizzati dagli eventi. L’idea di fondo è parte di un progetto che cerca di tornare indietro, alle origini del nostro movimento, perché durante il regime di Mubarak era impossibile organizzare qualsiasi tipo di incontri partecipativi nel proprio quartiere. C’erano dei momenti in cui veramente non conoscevamo la realtà del nostro rione, rimanendone isolati. Invece, in questo modo, torniamo alla politica reale e di base, partecipativa, per tornare indietro dal punto da cui proveniamo”
“Chi sono le persone che lavorano con Mosireen?”
“Mosireen è uno spazio condiviso, che supporta il giornalismo indipendente in Egitto, aiutando le persone che lavorano sul campo, che seguono gli avvenimenti filmando video, scattando foto, scrivendo articoli … con ogni mezzo possibile. Li aiutiamo fornendo mezzi, training, incontri … perché il problema fondamentale in Egitto è stato questo: le persone lavoravano da sole senza avere un posto dove potersi riunire e organizzare progetti. Produciamo video e documentari su quello che è accaduto nell’ultimo anno. I membri di Mosireen provengono da diverse formazioni: sono filmmaker, ricercatori, fotografi, editore, registi: Khaled Abdallah, Tamer El Said, Omar Robert Hamilton, Salma Said, Sharif Guebrid, Said Hawwas e ci sono tante altre persone che aiutano e lavorano con noi, come Tania, Nosly, Yasmine, Philipp … e tanti altri che mandano video, organizzano, aiutano la post-produzione …”
“Collaborate con il gruppo dei graffiti?”
“Supportiamo alcuni di loro, soprattutto i più giovani, che hanno creato un movimento: lavorano insieme, discutono il punto della campagna da portare avanti … Nel nostro spazio li abbiamo aiutati ad organizzarsi; venivano qua per riunirsi, per disegnare gli stencil, il posto è rimasto aperto a loro completa disposizione”
“Pensi che attraverso il movimento dei Kazeboun e dei graffiti la posizioni dei militari possa cambiare in futuro?”
“Non solo per il movimento artistico di strada, ma anche per quello dei lavoratori che nelle fabbriche e nella piazza si riappropria degli spazi e resiste alla polizia; certamente i militari stanno perdendo potere e consenso. Ci sono voluti 30 anni agli egiziani per capire che Mubarak era un dittatore e un assassino, e per scendere in strada e protestare; ci sono voluti 7 mesi all’esercito per prendere il potere. Il movimento si sta diffondendo e a poco a poco sta portando i suoi frutti e ripagando lo sforzo effettuato fino ad ora, perché porta avanti un progetto che consuma le energie e richiede molti soldi, ma per l’interesse del nostro paese, della nostra rivoluzione, non possiamo mollare. Questo è veramente il momento cruciale in cui la rivoluzione può avere successo o può fallire … perché la rivoluzione ancora Mustamirra (Continua), non è finita”

“Quanto ci vorrà?”
“Ci vorranno anni, ognuno ha lasciato il luogo dove viveva e il proprio lavoro per venire qua, per dedicare i prossimi anni alla rivoluzione, è un processo lungo. La classe operaia-lavoratrice protesta facendo scioperi, anche oggi ce ne erano una dozzina in tutto il paese, la situazione è veramente fragile ma dinamica, le persone resistono in diversi modi … Per avere dei risultati tangibili occorrerà molto tempo, ma è importante che la faccia politica della rivoluzione si mostri in pubblico, altrimenti muore. Qualcos’altro nel sotterraneo sta nascendo, ancora non sappiamo definirne la forma, ma sicuramente quanto è accaduto cambia la bilancia dei poteri in Egitto. Per esempio tre quattro anni fa, i giornalisti americani e europei, quando scrivevano dell’Egitto contrapponevano Mubarak ai Fratelli Musulmani, oggi ci sono sì i FM, il CSFA, gli appartenenti al vecchio sistema di Mubarak, ma c’è anche il popolo, il popolo che resiste, e c’è la rivoluzione. Ci sono nuovi elementi che rendono questa contrapposizione molto forte, e che cambiano i rapporti di forza, costringendo le persone a prendere posizione. È un nuovo game con il quale ogni forza sociale dovrà confrontarsi”

“Che cosa rappresenta per voi via Mohamed Mahmud?”
“È un simbolo, perché le persone in questa strada sono state tradite, sono morte e sono state chiamate criminali, ma la loro vera storia non è stata mai raccontata”
Kazeboun e Moserin sono formati da attivisti volontari, che creano un archivio elettronico della rivoluzione, che sfidano il potere proiettando i loro video sulla facciata del palazzo di Masbiro, che forniscono training e workshop sulla base di “Paga quanto puoi”, che installano gratis il cinema a Tahrir … Costituiscono il riferimento per molti giornali internazionali (Washington Post, Il Times, CNN, Al Jazeera, Il Corriere della Sera, Il Guardian …), ma più che altro sono la fonte di quell’informazione libera, indipendente e imparziale che vuole mostrare la verità e non una notizia costruita.
Lobna Darwish e molti giovani egiziani sanno che la lotta è ancora lunga, e che dopo l’entusiasmo iniziale dovranno passare anni perché le richieste e le istanze della rivoluzione siano realizzate. Esiste una consapevolezza nuova e la coscienza che organizzandosi possono competere e forse sconfiggere quel potere costituito e corrotto, di cui i militari fanno parte, che ha portato il paese sull’orlo del baratro.

[…] Lobna Darwish – Attivista – Kazeboun – Alias (Il Manifesto 15-05-2012) […]
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