
Secondo Ammar Abu Bakr, graffitista egiziano ospite in molte capitali europee per i suoi murales in via Mohamed Mahmud, vicino piazza Tahrir, a Il Cairo e in altre città egiziane, le oceaniche manifestazioni di ieri 30 giugno in tutto l’Egitto, sono solo la ripresa della rivoluzione, interrotta l’11 febbraio 2011 con le dimissioni di Mubarak. La sua analisi è lucida e chiara: allontanando l’ex faraone, chiunque c’era dietro di lui ha accontentato solo una delle richieste della piazza, rimandando il cambiamento e le riforme a un ipotetico futuro. I Fratelli Musulmani hanno riempito il vuoto di potere lasciato da Mubarak, si sono insediati nelle più alte cariche dello Stato senza lasciare spazio all’opposizione, mentre il paese assisteva attonito ai continui scontri e morti nelle città di tutto l’Egitto.
La protesta di ieri ha visto un afflusso di gente ancora maggiore della prima rivoluzione iniziata il 25 gennaio di due anni e mezzo fa. Ieri a Tahrir era impossibile entrare, le strade limitrofe erano talmente affollate di gente che l’accesso era completamente impossibile. Durante i 18 giorni in piazza Tahrir nel 2011, il risentimento di una consistente parte della popolazione (alla quale i FM si unirono), faceva specchio a un’altra che rimaneva fedele al sistema e chiusa tra le mura di casa, assistendo all’evolversi degli eventi. Ad oggi la Fratellanza è riuscita lì dove anche il vecchio regime aveva fallito: riunire tutte le opposizioni e tutto il malcontento, inglobando i rivoluzionari, il Fronte di Salvezza Nazionale, gli appartenenti all’ancien régime, i militari, la polizia e i nostalgici di Mubarak.
Sicuramente i FM sono stati resi in inganno dalla schiacciante vittoria parlamentare di fine 2011 in cui hanno ottenuto circa il 47% dei voti. L’alta percentuale forse li ha presi in abbaglio pensando che fosse la reale presa che avevano nel paese. Le prime crepe sono apparse alle elezioni presidenziali dell’anno passato, in cui il rappresentante e candidato del vecchio regime, Safiq, per poco non vinceva contro l’attuale presidente della repubblica Mohamed Morsi. Senza l’appoggio incondizionato del FNS, costituito dagli altri candidati alle presidenziali Mousa, Sabahi e Baradei (anche se quest’ultimo ritirò la sua candidatura) e Abu Muniem Futuh sconfitti al primo turno, Morsi non avrebbe vinto. Con questa vittoria i FM non hanno compreso i propri limiti, o forse sì, e perciò si sono arroccati dietro la protezione del potere statale come appena alcuni mesi prima aveva fatto Mubarak. La Dichiarazione Costituzionale di Morsi del novembre 2012 può avere questa chiave di lettura.

In una fase di transizione, come quella post rivoluzionaria egiziana (anche se a questo punto una nuova fase è cominciata, o forse la spinta della rivolta iniziale non si è mai esaurita), il dialogo e la collaborazione con tutte le parti sociali e politiche della nazione sarebbe stato un approccio più idoneo e coerente con le richieste della rivoluzione. Invece della coesione incentrata su un indirizzo politico unitario, ci sono state frapposizioni nette con l’opposizione, con la minoranza copta e persino con l’esercito. Chiamare il popolo ad affrontare l’emergenza sarebbe stato più opportuno, tentativi sono stati fatti, ma molto blandi e con poca volontà di condividere le reali responsabilità e cariche di governo.
Morsi, oltre che non essere un leader carismatico, è apparso succube delle decisioni prese all’interno dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, è sembrato non avere mai un idea-nazione che illuminasse il paese o che lo conducesse fuori dalla stagnazione economica e dal pantano politico in cui tuttora versa. Infatti, la pessima situazione economica dell’Egitto ha aumentato lo scontento nella popolazione e un risentimento verso una classe politica inetta, incapace di fronteggiare le difficoltà e proporre soluzioni. L’Egitto, per antonomasia, è un paese abituato ad avere leader forti, nel bene e nel male, siano essi lungimiranti come Nasser o più paternalistici e tiranni come Mubarak. I politici a metà, deboli e succubi di forze esterne, sono mal sopportati e mal visti dai cittadini, non vengono rispettati e divengono impopolari (come accadde al re Farouk negli anni ‘50). L’amore tra Morsi e il resto del paese non è mai sbocciato, molti egiziani si sono turati il naso votandolo, la luna di miele tra le due parti non è mai iniziata.
La Fratellanza ha avuto poca avvedutezza politica, dovuta sicuramente alla mancanza di esperienza nell’arena politica (sebbene i Fratelli siano presenti in 97 paesi nel mondo, in nessuno hanno mai avuto una rappresentanza in parlamento). Governare una nazione non è come governare un’organizzazione privata. Esistono troppi soggetti dissimili dentro un Stato, con chiari ruoli, con suddivisione e bilanciamento dei poteri. Devono essere intavolati colloqui con tutti i rappresentanti della comunità e non solo ordinare uni-direzionalmente dall’alto senza interagire con il resto del corpo civile. Un’organizzazione, come un’azienda, è solo un organo di un organismo complesso quale è una nazione intera, non si può trapiantare la struttura della prima nella seconda.
Nelle manifestazioni di ieri, come in altre occasioni precedenti, non si è vista la polizia in strada, scomparsa quasi completamente. Parzialmente è stato un bene, perché ha evitato il confronto diretto con le forze dell’ordine e possibili scontri violenti (anche se purtroppo ci sono stati circa 50 casi di violenze sessuali in piazza Tahrir). Ma potrebbe essere stata una mossa ben studiata da chi trama dietro le quinte (i militari? Il vecchio regime?) per far scontrare le parti in campo, il popolo e i Fratelli, per creare il caos e dare loro il diritto di intervenire con salvatori per pacificare il paese.
Cosa accadrà? L’esercito prenderà il potere di nuovo? I dieci punti dei Tamarroud (Ribelli), il movimento che ha organizzato le mega proteste di ieri, parlano chiaro. Dimissioni del Presidente della Repubblica, assunzione ad interim della sua carica da parte del presidente della Corte Costituzionale con meri compiti di controllo; elezioni presidenziali entro sei mesi e successivamente quelle parlamentari supervisionate da osservatori internazionali; nomina di un governo di tecnici che dovrà occuparsi della drammatica situazione economica … Disobbedienza civile e una serie di scioperi che paralizzeranno il paese sono previste nei prossimi giorni, ciò, come per Mubarak, potrebbe significare la fine politica di Mohamed Morsi. I militari sono in stand-by e quindi, per proteggere i loro interessi come l’autonomia che hanno da 60 anni nella gestione del 35% dell’economia dello Stato, se sono stati capaci di deporre un presidente che era in carica da trentanni, non avranno nessuna remora a mandarne a casa uno eletto appena da un anno. Si spera che se veramente ci sarà un loro intervento, dopo l’esperienza degli ultimi due anni, siano capaci di governare il paese senza che piombi di nuovo in uno stato di terrore.
Morsi sembra restio a dare le dimissioni, continuando a sbandierare che il suo mandato è democraticamente eletto. I Tamarroud continuano a dire che, in mancanza di un parlamento (sciolto dalla Corte Costituzionale per illegittimità), come il popolo gli ha dato il mandato, il popolo ha il diritto di toglierlo attraverso manifestazioni come quelle di ieri. La situazione è in stallo e sembra essere solo all’inizio di un lungo round. Se veramente i Fratelli vogliono mantenere ancora una certa presa sul paese e una possibilità di giocare ancora un ruolo come ala conservatrice e per non essere discriminati, dovrebbero prendere in considerazione l’idea di accontentare il popolo per evitare che la situazione possa degenerare in un’ipotetica guerra civile. Facendo ciò, si garantirebbero la possibilità democratica di giocare ancora un ruolo nel futuro Egitto.