Mutaz Elemam – Alias de Il Manifesto (16-02-2013)


Mutaz nel suo studio
Mutaz nel suo studio

Mutaz El Emam PDF Alias

“African Art, così ci vogliono etichettare gli artisti occidentali. È come dire ‘voi avete quello spazio là, diciamo un 10%, dove rimarrete sempre, per noi invece l’arte è tutto, è il 100% in assoluto dello spazio, perché siamo l’espressione della vera arte’. È veritiero questo? Che cosa differenzia un artista africano, asiatico … da uno europeo? È come se esistessero due livelli e concezioni dell’arte e della pittura, è un approccio sbagliato”. Questa è una delle risposte di Mutaz El Imam, pittore sudanese di spessore che attraverso i suoi quadri estrapola il Sudan, l’Africa e qualcosa che va oltre i confini continentali per abbracciare un discorso più ampio, più umano che non conosce barriere.

“Clima”, “Black Touch”, “Il fiume”, “Co2” … sono alcuni dei concetti che Mutaz tratta, ma sono solo dei cliché con i quali deve etichettare la sua pittura per evitare di essere tagliato fuori, per non uscire dal business. Parte da Kassala, un minuscolo paese sudanese al confine con l’Eritrea, vecchio possedimento italiano durante l’era del colonialismo. Là il clima è mite, le arance nascono senza additivi e le montagne rocciose proteggono il villaggio dalle intemperie naturali e dagli attacchi culturali.

È stata una sfida quella di Elemam diventare pittore, perché in Sudan gli artisti vengono etichettati come persone strane, fuori dal comune … “Negli anni ’50 e ’60 molti artisti andavano a studiare all’estero, ritornavano in patria con un atteggiamento distaccato, parlavano una lingua pittorica (europea) che nessuno comprendeva, lontana dal popolo e dalla reale condizione del paese. Parlavano con la lingua dell’arte occidentale, moderna, che non aveva alcuna base e riferimento con il Sudan. Così furono visti come degli “stranieri” in patria. I miei genitori all’inizio erano contenti della mia scelta di diventare pittore, poi dovettero confrontarsi con il disprezzo e la diffidenza dei propri amici, dei conoscenti e dell’intero villaggio. Il loro appoggio iniziale venne meno, fino a quando capirono che il mio modo di comunicare non era distante dalla realtà che li circondava ogni giorno, hanno capito che io parlo del Sudan, e attraverso il Sudan parlo della condizione dell’uomo e dell’individuo”. Erano pochi gli artisti che riuscivano ad andare a studiare all’estero, erano soprattutto quelli raccomandati e confacenti i governi in carica. Costituivano quella cerchia di artisti sudanesi meno quotati, che vincevano borse di studio attraverso la corruzione e la vicinanza a qualche carica politica. In questo modo si mostrava una faccia retrograda e priva di vigore della produzione “africana”, perché non era l’espressione autentica dell’arte del Continente Nero.

Uomo e Montagna (Kassala) - Mutaz Elemam
Uomo e Montagna (Kassala) – Mutaz Elemam
Fiume (8 m X 2)
Fiume (8 m X 2)

Mutaz ha viaggiato molto nell’Africa orientale. Uno dei suoi sogni era riuscire a dipingere il Nilo dalla fonte allo sfociare nel mare Mediterraneo. Attraverso le sue acque voleva parlare dei paesi e delle culture che questo fiume millenario attraversa. Poi si è imbattuto nella reale condizione delle cose che caratterizza quasi tutto il continente africano: lo sfruttamento. Ha visto le falde inquinate delle acque, l’immondizia endogena che si trova lungo il letto del fiume, le lotte fratricide per la conquista delle risorse e del controllo, appoggiate di volta in volta da potenze esterne interessate solo al depauperamento del suolo e delle risorse naturali. Quel Nilo che tanto platonicamente vedeva come fonte di contatto e di idillio è apparso svilito, svuotato della sua potenza comunicatrice, ridotto a mera fonte di faide di potere e di giochi poco interessati alla reale condizione delle genti che vi vivono intorno. Così sono nati i suoi concepts painting. Parlare del clima, dell’inquinamento, del Black touch, del Co2 … è solo un modo di trattare altre tematiche più profonde che riguardano le malversazioni che devono sopportare quotidianamente le genti africane.

Testa dì uomo (Clima 100x70) - Mutaz Elemam
Testa dì uomo (Clima 100×70) – Mutaz Elemam

È una storia conosciuta, le corporation approfittano delle diatribe esistenti all’interno delle diverse nazioni quali Sudan, Etiopia, Somalia, Nigeria, Ghana … per fare il propri comodi. Il political vacui abbinato alla confusione socio-economica di questi paesi porta al malaffare e le aziende internazionali trovano terreno fertile per attuare le proprie politiche economiche spregiudicate. L’eco dello smaltimento tossico dei rifiuti è conosciuto, le organizzazioni internazionali sono a conoscenza che il Ghana è diventato la pattumiera americana ed europea per lo smaltimento dei rifiuti hi-tech, che la Somalia è la discarica dei rifiuti sanitari italiani, che il Niger e il Mali sono le miniere di uranio della Francia (vedi guerra in corso nel nord del Mali) … Ciò che fa specie, e che dovrebbe fare scandalo, è la mancanza della risposta politica internazionale e dei cosiddetti “paesi civili”, il vuoto giornalistico su queste tematiche così scottanti che riguardano la vita di milioni di persone nel mondo. E non è una buona giustificazione lasciar correr pensando che si tratti di posti lontani migliaia di km, perché forse, senza saperlo, quei rifiuti tossici allontanati tanto facilmente e frettolosamente, possono in qualche modo ripresentarsi sulla tavola o sui mobili di casa di molte ignare famiglie occidentali. “Il Niger costituisce la miniera di uranio per la Francia ed è uno dei paesi più poveri in Africa. Le politiche di sfruttamento francesi non favoriscono il miglioramento delle condizioni di vita nel paese, favoriscono invece l’emigrazione illegale verso l’Europa. Quelli che emigrano sono persone che hanno vissuto di stenti e sotto un regime di segregazione. Quando arrivano in Francia o in Spagna, pensano solo a se stessi senza pensare di sensibilizzare l’opinione pubblica su ciò che accade nel proprio paese. Questa purtroppo è una situazione molto diffusa in Africa”

Le uniche relazioni artistiche che sussistono tra il Sudan e i paesi occidentali sono legate intimamente con quelle politiche. Gli artisti che non rientrano in questa speciale categoria sponsorizzata dalle pubbliche istituzioni, si ritrovano ad essere semplicemente emigranti. “Conosco centinaia di sudanesi che vivono in Europa, Australia, America … che erano artisti bravi e quotati, ora lì fanno i meccanici, lavorano nei campi o come commessi in un negozio. È un vero peccato perché molti avevano delle ottime possibilità nel campo artistico”

Donna (30x30 - Clima)
Donna (30×30 – Clima)

Per Mutaz, esistono moltissimi problemi nel suo paese d’origine, come nel resto dell’Africa, ma un artista vero è colui/colei che riesce a scardinare i propri confini personali e provinciali per poter comunicare con il mondo. “Un artista che fa arte solo per il proprio interesse, solo per farsi pubblicità a livello internazionale e poter accrescere la sua fama, non è un artista. Costui è quello che manda un messaggio ancora più forte, che racconta delle problematiche esistenti per fare in modo che siano risolte, per dare voce alla gente. Solo così l’arte può raggiungere il proprio obiettivo. Se sei intellettualmente onesto, la gente ti ricorderà anche dopo la tua morte, e si ricorderà della tua arte”

“In Sudan la maggior parte degli artisti “ufficiali” sudanesi è classificato dentro gli schemi del governo, se si ha l’appoggio dello Stato si ha la possibilità di poter partecipare a biennali e mostre in tutto il mondo, altrimenti sei tagliato fuori”. Gli schemi sono talmente rigidi che lambiscono una struttura artistica di stampo sovietico, infatti sono i regimi dittatoriali che esistono in Africa a dettare le linee guida. “Purtroppo il 90% dei governi in Africa sono il risultato delle scelte fatte fuori i confini continentali, sono i governi dei potenti e delle multinazionali che decidono i governanti delle nazioni africane, sono loro che stabiliscono la linea politica per i propri interessi corporativi, l’individuo non esiste, il cittadino è una parola stampata su carta che vale meno di zero. Gli artisti di Stato non servono a nessuno, tanto meno alla nazione da cui provengono, tutto l’opposto, creano antipatia nei loro confronti perché visti come alieni, che non capiscono la realtà in cui si trova il paese. Solo l’artista che lotta ed esprime l’anima del paese da cui proviene può essere chiamato artista, gli altri sono solo scarti che la società reale non riconosce”

Fiume - Mutaz Elemam
Fiume – Mutaz Elemam
Gruppo di donne sudanesi - Mutaz Elemam
Gruppo di donne sudanesi – Mutaz Elemam

Mutaz ha studiato Belle Arti a Khartum, fin da piccolo era affascinato dalla pittura, esternandola prima attraverso gli esercizi di grafica calligrafica di arabo scritto, poi attraverso i murales sparsi nel suo villaggio di Kassala, fino ad approdare negli anni all’accademia della capitale. “Il viaggio è molto importante per la maturazione individuale e inconscia dell’artista”. Sono i colori che caratterizzano le pennellate e le spatolate di Elemam. “Perché provengo dal Sudan, un paese che racchiude i quattro microclimi dell’intero pianeta: il deserto, la foresta equatoriale, la steppa a ridosso del mar Rosso, le temperature temperate vicino all’Eritrea con le sue alluvioni annuali. È così che sono riuscito e ripetere la stessa gamma di colori che ci sono nel mio paese”. I tratti a volte sono fermi e fluidi, altre volte gettati di scatto, in un figurativo contemporaneo che supera l’etichetta di “africano”. Si ritrovano nei suoi quadri i milioni di africani incolonnati dentro una socialità collettiva di persone fuori una moschea, oppure la soggettività di una ragazza vista attraverso le sue ginocchia e il suo abito rosso. La fragilità femminile è racchiusa nelle spalle cadenti, mentre la forza e la determinazione caratteriali sono raccontate dalla postura delle ginocchia che sembrano sfidare il mondo.

Incubo matematica (80x50 - Co2) II- Mutaz Elemam
Incubo matematica (80×50 – Co2) II- Mutaz Elemam

La dedizione nel lavoro e la tecnica sono fondamentali nelle opere di Mutaz Elemam. A volte sono figure morbide, altre volte dure e marcate. In alcuni momenti richiama le figure piane, di una pittura primitiva, piatta, senza spessore né profondità, come l’incubo della matematica rappresentato in un dipinto autobiografico, dove l’artista stesso appare intrappolato nel letto circondato da numeri e formule incomprensibili. Eppure, anche in quella rappresentazione tanto scarna di un uomo addormentato, consunto e tormentato, traspare una tecnica che sviscera il corpo e fa trasparire tutta la sofferenza del viso e dell’animo. Altre volte le pennellate si fanno soavi, senza che il messaggio si perda, come nel caso della donna dall’abito rosso, o in un altro autoritratto (per la mostra dal titolo Co2) in cui l’immagine dell’artista sembra ingabbiata dentro una camicia di forza insanguinata. Ricorda da una parte le foto, mostrate durante l’intervista, di un Mutaz Elemam più giovane, che impugna un kalashnikov a causa della guerra civile che ha martoriato il Sudan dal 1989, dall’altra le lacerazioni di un qualsiasi africano costretto a subire le vessazioni e le umiliazioni delle multinazionali.

Donna abito rosso (50x50) - Mutaz Elemam
Donna abito rosso (50×50) – Mutaz Elemam
Fiume (8 X 2 metri )
Fiume (8 X 2 metri )

Molti quadri sembrano reinterpretazioni dei propri incubi e paure, altri abbracciano un concetto più ampio che supera i confini dell’individuo e di una sola nazione. Ci si imbatte nel colossale dipinto del ‘Fiume’, lungo 8 metri, che parte dal lago Vittoria fino ad arrivare al delta del Nilo. In quegli otto metri sono racchiuse le sofferenze, le paure, l’inquinamento e lo sfruttamento di milioni di persone, di uomini e donne che reclamano il diritto a una vita decente senza doversi prostrare ai favori dei potenti, senza dover sottostare ai soprusi del più forte. Sembra un ponte d’acqua verso quei giovani precari e disoccupati europei che scendono nelle piazze di tutta l’Europa per mandare un grido alle varie troike economiche: diritti, lavoro, istruzione, giustizia sociale.

Donna raggomitolata (50x50 - Co2) - Mutaz Elemam
Donna raggomitolata (50×50 – Co2) – Mutaz Elemam

La mancanza di supporto pubblico (e privato) in Sudan fa in modo che molti artisti emigrino per trovare l’ambiente idoneo per focalizzarsi sulla propria arte. Parafrasando l’aforisma non è la destinazione che conta, ma il viaggio, questo vale anche per Mutaz. “Andare da Kassala a Khartum è stato molto importante per capire e migliorare il mio stile pittorico. Però trasferirmi a Il Cairo, è stato un ulteriore passo per sviluppare il mio inconscio artistico e il messaggio che voglio trasmettere attraverso la mia pittura. Il Cairo dà la possibilità a molti artisti di proporsi senza dover fare i lacchè a nessun governo. Quello che chiedo come artista è di poter vivere della mia arte, mi piacerebbe che ogni mio quadro fosse venduto e vissuto per il valore che ha, permettendomi di vivere decentemente. Oggigiorno sono contento perché i miei quadri sono sparsi in molte gallerie cairote e online presso la galleria Saatchi, è una soddisfazione personale”. Recentemente Mutaz Elemam ha partecipato alla Biennale di Pechino 2012, come unico artista sudanese. È stato ospite del AfroCAM di Casoria, in Macedonia, a Berlino, a Sarajevo, e in molte altre capitali europee.

Autoristratto (Co2)- Mutaz Elemam
Autoristratto (Co2)- Mutaz Elemam

Il concetto è alla base della pittura ma non solo, tra gli intrecci e i colori c’è l’Africa, ma anche lo sfruttamento e il riciclaggio dei rifiuti tossici. Mutaz racconta come l’immondizia venga raccolta e divisa per materiali, per poi essere caricata su navi cinesi, navi dirette verso piattaforme in mezzo all’oceano, in pieno mare internazionale, dove non vige la giurisdizione di nessuno. Lì, su piloni conficcati nelle acque, ci sono vere e proprie fabbriche cinesi che producono di tutto: sigarette, cemento, ornamenti per la casa, forchette, bottiglie di plastica … prodotti senza nessun controllo che verranno riversati dentro il mercato africano. Un mercato alla deriva, nelle mani di chi pensa solo all’ottimizzazione del profitto, costi quel che costi. “Ci sono prove di quello che dici?”

“Noi sappiamo che è vero. Ho attraversato l’Egitto, il Sudan, l’Etiopia, la Somalia, il Kenya, l’Uganda … tutti sanno come funziona e tutti si accontentano di pochi spicci. Non ho prove, ho solo storie che si tramandano di bocca in bocca, che valicano i confini …”. Le storie, in qualche modo, hanno sempre amaramente un fondo di verità. Co2, Fiume, Black touch, Clima … le figure nei quadri di Mutaz sono spesso circondate da un alone tratteggiato come le sagome dei cadaveri sulla strada di un film poliziesco, perché, qualsiasi sia il titolo della mostra o qualsiasi storia sia raccontata, un messaggio inquietante rimane sottinteso dietro i colori e le pennellate: siamo tutti vittime.

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