È freddo, mando giù un altro sorso di vino. Il contatto con il divano gelido mi riporta cosciente di una realtà separata. Fra poco sarà Natale e per la prima volta in vita mia mi appresto ad viverlo da solo. Si fa presto a scacciarlo e tacciarlo come inutile eppure ora, ne assaporo la solitudine. Vorrei avere venti anni per avere la sfrontatezza, l’età dell’incoscienza, per schiaffeggiare a viso aperto la solitudine cercata. Rivendicare quella spinta di libertà che soffia nell’animo, quella consapevolezza che niente può ammaccare la sicurezza. Ora a trentacinque anni quel ventenne lo vedo lontano, lo invidio, tuttavia anche lui nella sicurezza non è stato mai veramente solo. La famiglia distante. Domani si riuniranno a tavola, un posto vuoto occupato da risa, illusione che niente è successo sapendo che nell’animo qualcosa non è al suo posto. Anche lontano da casa, Londra, credevo di aver creato una mia famiglia, la giovinezza sopperiva al vuoto dei figli mai voluti e ora anelati. Dove siete? Dove sono quei figli che ho immaginato? Quei piccoli corpi che riscaldano la casa? Il divano? L’abbraccio? Anche il mio amore è distante. Il troppo isolamento corrode, scava l’animo in profondità, raschia negli anfratti dell’egoismo e della superbia … sono contento che domani questi pensieri saranno il ricordo di una serata d’inchiostro, o forse neanche esisteranno … e se invece si annidassero nel ventre? Crescono, creano distacco. Mangio un cioccolatino, mando giù del Campari, il termosifone elettrico per quanto lo avvicini non riscalda. Sono cresciuto in una generazione ovattata, dove è stata concessa l’illusione di illudersi; una generazione a metà tra el utopie vive e quelle morte, dove i giovani gridavano e perdevano la forza di gridare. Io ero spaesato, diviso tra un padre che disdegnava quelle manifestazioni mentre io gridavo dentro che ero presente. Quando ho avuto il coraggio di dirglielo il mondo stava cambiando, lasciando indietro una parte di me che ancora sto cercando. Domani è un altro giorno per un italiano al Cairo. Domani e dopodomani qui sarà un giorno qualsiasi, è solo una discordanza di tempi, anche qui hanno festeggiato il loro Natale e le loro festività, quel periodo ho quasi digiunato per il Ramadan con il mio amico Maghid, ho atteso con lui il canto del muezzin per affondare il cucchiaio nella zuppa e i denti nella carne di pollo. Una frazione temporale, il resto è sempre lo stesso: cibo, famiglia, amici, un bicchiere d’acqua al posto del vino, una canna al posto della sigaretta, e allora dov’è questa differenza? Domani è un giorno per andare a lezione d’arabo, scrivere un altro pezzo del nuovo libro, un amico americano tornerà questo sabato, il mio amore il primo gennaio, forse farò una festa di Capodanno a casa mia, di che mi lamento allora? Bimbo viziato della generazione del dopo Vietnam, del dopo Comunismo, di ideali frantumati in un capitalismo agonizzante. Mi vedo riflesso nel vetro della finestra, quel ventenne è scomparso, quel bambino è scomparso, eppure continuo a cercare, illudermi tra le rughe, di un sogno morto, di una generazione fallita, di una generazione a metà; quale sarà questo nostro ruolo? Un cammino, un viatico per quelle successive che potranno cantare i loro inni a viso aperto? Una generazione senza una caratteristica, una generazione anonima. Dopodomani sarà Natale. Uomini della mia età scarteranno regali con i propri figli, rivedendo per un attimo quell’immagine impressa nella finestra, quel bambino che imitava suo figlio … vorrei essere tecno illuso come i bambini di oggi, vorrei essere ideologicamente impregnato come la gioventù della mia fanciullezza, ma ciò non cancellerà i lamenti dei bambini del sud del mondo. I rami degli alberi e le foglie giocano insieme al vento a creare immagini nelle luci sfocate delle finestre di Zamalek, quest’isola benestante del Cairo dove le nuove generazione regnanti si formano, per un paese che è sempre stato abituato a seguire il corso degli eventi, senza ribellione, senza riscatto … i rami si muovono, le foglie cadono, il tronco è sempre fermo. Il chiarore attraverso il fogliame non lascia delineare le figure. Domani è la Vigilia, dopodomani Natale … domani è un altro giorno qui, dopodomani un altro solo uno in più, qui al Cairo un giorno qualunque dove non esiste loro.
questo intendevo quando ti ho detto che nn vogliono che gli altri mi leggano dentro…e ti invidio perche tu invce riesci a farlo e anche molto bene! prima o poi troverò il coraggio di mandarti qualcosa e aspetterò con ansia l tuo parere….baci
Credo che quando una persona si pone come scopo quello di cercare di fare arte, deve metterlo in preventivo che debba rivelare parte di sé, ciò nel bene e nel male. Ci sono persone che riescono a farsi trasportare dalle parole e allora smettono di pensare che il libro l’ho scritto io, io che posso essere un amico o uno scrittore conosciuto di passaggio, è solo l’inchiostro che parla. Quando questo avviene posso dirmi soddisfatto, significa che l’opera cammina da sola, esiste separata dall’autore.
L’imbarazzo di “farsi leggere dentro”, è come un cantante che si trova per la prima volta davanti a un pubblico, il magone che porta dentro è che crede che sia la sua persona nella totalità che verrà giudicata e non la sua voce o interpretazione, anch’io spero di poter essere giudicato per quello che scrivo, nel bene e nel male. Il primo è sempre un incoraggiamento mentre il secondo può diventare un punto di crescita se la critica negativa ha delle fondamenta e sia propositiva.
Quello che posso dirti è: coraggio, non aver paura! Cerca l’artista e la persona che è in te; le persone intorno che ti sono intorno se ti vogliono bene sapranno sempre apprezzarti e avere stima per il coraggio che hai saputo mostrare.