Oggi è iniziato il processo a Hosni Mubarak, l’ex rais egiziano deposto dalla rivoluzione del 25 gennaio dopo 30 anni di ininterrotto governo del paese.
È il primo passo verso l’inizio di un processo democratico, è il motivo per il quale gli egiziani sono scesi in piazza lo scorso inverno. I giovani recentemente si lamentavano per la lentezza della giustizia, per questa ragione sono scesi in massa occupando di nuovo piazza Tahrir prima in aprile, bruciando macchine e camion dell’esercito, e poi a fine giugno rimanendo in sit-in permanente.
Vedere l’ex presidente alla sbarra per gli egiziani significa incominciare a credere che esista una giustizia reale, e non una fittizia fatta di soprusi, mazzette e contatti giusti per evitare la punizione o il processo. Sulla Repubblica online nell’analisi del processo (http://www.repubblica.it/esteri/2011/08/03/news/mubarak_nigro-19952705/ ), viene descritta con minuzia lo spessore delle sbarre della gabbia che deve contenere Mubarak, i suoi figli e il ministro dell’interno deposto a febbraio, che ricorda le celle nelle quali vengono tenuti i mafiosi italiani durante i processi. Anche in questo caso si tratta della stessa cosa: mafia! Una mafia assurta a sistema di stato, feudale e fatto della legge del più forte, incentrato a schiacciare il più debole, il quale è costretto a vivere nella miseria e di stenti. Altrimenti, con quale altro nome si può chiamare un sistema che ha portato il 45% della popolazione alla povertà? Famiglie di 4/5 membri costretti a vivere con 2$ al giorno?
L’Egitto degli ultimi 30 anni è stato un escalation continua per aumentare le disuguaglianze tra i cittadini, il sistema neo-liberale che non ha creato quella ricchezza che tanto propugnava con l’implementazione delle sue politiche economiche. L’iniziativa privata deve essere un corollario che integra il sistema produttivo, perché il capitale non deve essere l’unico detentore dei poteri dello stato, altrimenti, come mi disse in un’intervista lo scrittore Alaa El Aswani: “… alla fine i cittadini e le persone con il sistema capitalista diventano solo numeri …”, e non cittadini con diritti e doveri.
Ritornando al processo giudiziario, è solo l’inizio, ma bisogna vedere dove porterà. È il primo atto di giustizia in cui gli egiziani ripongono molte speranze, ma bisognerà attenderne la fine per capire fino a che punto il nuovo Egitto sia capace di fare i conti con il proprio passato senza atti giustizialisti. Per diventare un paese democratico, il processo deve essere giusto ed equo, trasparente, rispettare la legge e l’imputato, anche se è un killer, perché nessuno è colpevole fino a che la sentenza non lo abbia stabilito. È importante evitare di far diventare Mubarak l’agnello sacrificale: togliere di mezzo lui per poi ritornare allo stesso sistema pre-rivoluzionario. Questa potrebbe essere la tattica dei militari, che fino ad oggi si sonno investiti della figura di amministratori della rivoluzione; quindi la loro idea potrebbe essere quella di far fuori Mubarak per poter continuare a vivere o sopravvivere. Sicuramente è ancora una storia da scrivere e siamo solo agli inizi.
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