Referendume e nuova Costituzione egiziana – Pagina esteri Il Manifesto (22 dicembre 2012)


Con l’editto-dichiarazione costituzionale del 22 novembre 2012, il Presidente della Repubblica Egiziana Morsi si è posto al di sopra di tutti gli organi istituzionali, in particolar modo della magistratura che era così impossibilitata al controllo dell’operato del Presidente. Morsi ha sfruttato, in quell’occasione, il successo mediatico del ruolo risolutivo avuto nella cessazione delle ostilità a Gaza imponendo così il suo diktat nella politica interna del paese ormai in impasse per la scarsa collaborazione tra i partiti nell’Assemblea Costituente. Quest’ultima era di fatto bloccata dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato la sua illegittimità e dopo che la defezione dai lavori costituenti dei partiti laici e dei cristiani copti.

L’editto ha suscitato disordini nel paese e costernazione in tutta quella parte della società civile e politica grazie ai cui voti il presidente era stato eletto. Il fine ultimo della mossa politica di Morsi non era tanto arrogarsi poteri straordinari, ma quello di riuscire a far approvare la bozza della nuova Costituzione egiziana e di indire un referendum sul testo così approvato (15 e 22 dicembre). Sotto questo profilo Morsi, e l’organizzazione dei Fratelli Musulmani alla quale fa riferimento, ha ottenuto un grande successo politico e ha mostrato chiaramente la sua abilità e la sua sagacia politica, ma soprattutto la spregiudicatezza nel metterla in atto.

In base ai primi sondaggi, dalla prima tornata referendaria tenutasi sabato 15 dicembre, il Sì sembra attestarsi intorno al 56%, una percentuale di 14 punti inferiore a quella ottenuta dal partito Libertà e Giustizia (L&G) dei FM insieme a quella dei salafiti. Tuttavia molti brogli al voto sono stati riscontrati, come le interdizioni al voto nelle aree di larga maggioranza laica. Se tale percentuale sabato 22 dicembre fosse confermata, o addirittura ribaltata, metterebbe in chiara luce il malcontento popolare verso l’immobilità del governo di Morsi e della sua maggioranza parlamentare.

Se veramente sabato prossimo, i partiti laici (Fronte Nazionale di Salvezza – FNS), gli shabeb, i cristiani copti, i sindacati … riuscissero a sensibilizzare la gente a votare No, forse potrebbero esserci possibilità che il referendum neghi l’approvazione del testo costituzionale. Se ciò dovesse accadere, sarebbe una grande sconfitta politica più che per Morsi (che rimarrebbe in carica), per i FM, che sarebbero costretti a rivalutare il proprio modo di intendere l’azione politica e strategica, auspicando azioni più consone a procedure democratiche. Il rigetto della Costituzione porrebbe i FM a rivedere la propria agenda politica, sarebbero costretti a uscire dal guscio protettivo dell’organizzazione ormai non più segreta e perseguitata come è stato per gli ultimi sessant’anni. Dovrebbero imparare a confrontarsi con la società civile seguendo una via democratica e non forzando la mano per imporre i propri interessi. È strano che i FM, conoscendo bene cosa significa l’ostracismo e la persecuzione, non sappiano capire l’importanza di avere una Costituzione garantista delle pluralità e delle diversità presenti nel paese, del bilanciamento dei poteri tra magistratura, governo, parlamento e presidenza.

Le probabilità che il FNS riesca a ribaltare il temporaneo Sì referendario, si potrebbero concretizzare solo in caso in cui il Fronte Nazionale di Salvezza abbia ramificato la propria presenza in tutto il territorio nei mesi precedenti il referendum. Solo attraverso una rete diffusa e capillare il FNS riuscirà a essere competitivo ed alternativo al partito L&G dei FM. Se ciò accadesse, il referendum potrebbe risultare un boomerang per Morsi. La sua forzatura ha spaccato il paese a metà, anche se tale divisione era già emersa alle elezioni presidenziali del giugno 2012, quando una grande fetta dell’elettorato aveva votato per Shafiq, il candidato che rappresentava il vecchio regime. Forse Morsi era convinto che le divisioni e le debolezze degli altri partiti avrebbe avrebbero giocato a suo favore. Invece è riuscito a ricompattare l’opposizione con una triplice leadership (Baradei, Mousa, Sabahi) che è riuscita a far presa sulla società come non accadeva dai tempi del primo Tahrir, nel gennaio 2011, quando tutte le forze di opposizione erano compattate contro il regime di Mubarak.

Il FNS si oppone all’attuale testo costituzionale perché concede moltissimi poteri al presidente, aumenta l’influenza della legge islamica nel diritto statale, allarga le competenze dell’Azhar e lascia troppa interpretazione al politico di turno sul ruolo della famiglia e della donna nella società. La paura di fondo dell’opposizione è che tale architettura potrebbe portare a derive più autoritarie di quelle del periodo di Mubarak. Rispetto a questa prospettiva sarà da capire quale sarà il ruolo dell’esercito e dell’America che guarda con preoccupazione ciò che sta accadendo in Egitto. È un peccato che gli attori internazionali non abbiano sfruttato quest’occasione per creare veramente uno stato egiziano democratico. Sembra che sia più comodo interloquire con dittatori di turno che con reali politici democratici di pari livello. Con la Primavera Araba si è persa un’occasione, sarebbe stato meglio pensare prima ad una struttura statale solida egiziana, piuttosto che a meri calcoli economici e geopolitici nell’area.

Morsi, e conseguentemente la Fratellanza, ha giustificato la sua dichiarazione costituzionale come unico modo per evitare che il processo democratico della Costituzione si arenasse. Sarebbe da capire in che modo una forzatura del genere possa costituire un reale avanzamento. Non sarebbe stato meglio cercare una via nel dialogo in un paese nel pieno di una rivoluzione dai risvolti drammatici? Non sarebbe stato meglio dare voce alle pluralità politiche (e religiose) esistenti nel paese? Perché la Fratellanza ha voluto questo strappo con una larga parte della società civile? Quale è lo scopo reale? Quale beneficio ne trarrà l’Egitto da questa separazione che si va acuendo tra le diverse forze in campo? Su quali binari democratici si va incanalando la rivoluzione egiziana?

I FM hanno un programma neoliberista che asseconda maggiormente le politiche d’Oltreoceano piuttosto che le reali riforme economiche e strutturali di cui ha bisogno una nazione allo stremo e sull’orlo della bancarotta. Per risollevare l’Egitto c’è bisogno della spinta di tutti e che nessuno venga lasciato indietro o ai margini. Altrimenti le richieste della rivoluzione egiziana rimarranno solo un sogno nato in una piazza.

La Primavera Araba su un punto focale ha avuto successo, ha risvegliato le coscienze di popoli soppressi. Dopo la caduta di Mubarak la pluralità delle opinioni e delle notizie si è andata allargando in modo da fornire ai lettori uno spettro di vedute più ampio. Molte emittenti televisive sono state aperte, come molte testate giornalistiche, le stesse che hanno indetto un grande sciopero contro l’editto di Morsi che ne limitava consistentemente la libertà e l’indipendenza. Gli egiziani hanno mostrato che la piazza è presente e vigila su ogni ingiustizia di chi pensa di usurpare la loro rivoluzione, sia esso il Consiglio Superiore delle Forze Armate, i servizi segreti, i FM o qualsiasi altro attore della scena internazionale. Se la percentuale referendaria dovesse aumentare più dell’attuale 56%, non esisterebbe piazza in grado di contrastare il volere del Presidente.

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