Risposta al Corriere dell Sera: “Egitto, chi dopo Mubarak?”


Egitto, chi dopo Mubarak.

Di Antonio Ferrari giornalista del Corriere della Sera

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Facebook, i social network, blogs … sono un sintomo di cambiamento, di comunicazione aperta, di scambio di idea, però non si può dimenticare il tipo di società su cui l’Egitto si poggia. A differenza di altri paesi dell’aera mediorientale, l’Egitto è forse il più tradizionalista e il più liberale dei paesi di quest’area. I giovani vogliono una libertà di cui non conoscono il significato. Pasolini identificò i sessantottini italiani come “una espressione della borghesia che si schiera sulle barricate contro se stessa”. Voglio prendere il significato letterale di quanto scritto da Pasolini, di una borghesia che minaccia se stessa attraverso i propri figli. È indubbio che il ’68 sia stato un cambiamento eclatante e importante in tutto l’Occidente, ha sradicato abitudini consolidate nei secoli, ma ha dato all’establishment una chiave d’interpretazione per controllare quei moti rivoluzionari che chiamavano al cambiamento. Giovani imbevuti di concetti dei quali avevano perso il significato e le radici dei loro padri ma consapevoli di volere qualcosa.

I giovani egiziani sono nello stesso stallo, un’urgenza di cambiamento, qualsiasi esso sia, purché qualcosa cambi in una realtà socio-politica rimasta identica per trent’anni. Per quanto le statistiche dell’ONU indicano la povertà in Egitto al 40%, il paese va cambiando e mutando dietro la coda della globalizzazione e della crescita “cinese”. Gli egiziani sono come gli italiani di una volta che mettevano i soldi nel materasso, e sono affamati di ricchezza e di emancipazione come lo eravamo noi, eppure ogni Ramadan sono tutti lì, presenti nelle piazze, nelle strade intasate per tornare a casa per il fitar e nelle moschee per pregare. Ci sarà bisogno che la maggior parte della società possa apprezzare il benessere economico per ripetere ciò che è accaduto in Italia negli anni ’60/?.

Uno dei problemi fondamentali con i quali il “nuovo” Egitto si dovrà confrontare è la dialettica politica. Si parla di un paese che non è abituato a votare da quasi settant’anni, un paese che rispecchia la visione politica della maggior parte dei paesi arabi: una visione uni-centrica nella ricerca di un leader forte. Purtroppo, interpretandolo secondo i canoni occidentali, questa visione ha i suoi lati negativi perché non prevede l’alternanza. Cercherò di spiegarmi meglio: qualora un rais assuma il potere e non sia orientato verso il beneficio del popolo, allora la nazione tende ad avere squilibri, sia di tipo economici con l’accentrasi delle lobby che contano intorno al potere politico(-militare) che sociali, portando a una totale accondiscendenza verso tale potere. Questo si può riscontrare nell’alta considerazione degli egiziani nei precedenti presidenti Nasser e Sadat e l’antipatia invece nei confronti di Mubarak, l’unico ai loro occhi di aver portato il paese al baratro e averlo venduto agli americani, e di aver distrutto tutto quello di buono che fecero i suoi predecessori. Dal mio punto di vista, è sbagliato, Mubarak non è l’unico responsabile delle condizioni in cui versa il paese, ma anche della mentalità egiziana di assecondare il potere, qualunque esso sia (questa è una tipicità tutta arabo-musulmana nella ricerca del Califfato perduto).

Oggigiorno i social-network, i blog … permettono uno scambio d’idee con l’esterno che prima la propaganda interna poteva bloccare (Nasser e Sadat), mentre oggi un accesso a internet significa “conoscenza”, contatto con l’esterno, scambio di idee e opinioni a livello trasversale dalla Pensilvania al Sol Levante, da Pechino al Cairo, da Parigi a Sidney. Internet è una valanga che non si può arrestare, ma dove porterà l’Egitto? La repressione è ancora forte sebbene gli egiziani, incondizionatamente parlano male del governo (in un paese completamente dittatoriale-poliziesco, sarebbe permesso?), c’è una voglia di cambiare, ma sopratutto c’è una voglia di cambiare per i propri interessi personali. Ogni egiziano vorrebbe vedere la propria condizione socio-economica migliorata (spesso non accompagnata a un miglioramento culturale, perché il decadimento della cultura e della moralità porta irrevocabilmente a un ritorno indietro), un interesse personale che utopisticamente si pensa che la politica possa realizzare o incarnato in un solo leader. Non esiste una classe politica nel territorio egiziano che possa fare questo, non esiste una classe politica che riesca ad accomunare tutti questi interessi personali in una progetto (visione) comune. Questo è parzialmente dovuto alla forte corruzione diffusa in tutti gli ambiti e classi sociali che uno dei mali atavici della nazione e che porta a una stagnazione politico-sociale.

La perdita di una visione comune è a sua volta uno dei collanti che la società occidentale nel suo insieme va perdendo o che in parte ha già perso, l’epicentro od ego-centro della società occidentale è l’individuo all’infuori di ogni bisogno collettivo (è soprattutto un fenomeno che si rispecchia in Italia), dove il collettivo è lo strumento per attuare i bisogni personali. Questa visione in parte in Egitto viene aborrita, però la divisione delle classi è forte e ne indica l’esatto contrario, perché chi ha raggiunto o ereditato una posizione nella società, fa in modo di tenere la maggioranza nel posto dove si trova, senza dare la possibilità al singolo individuo di migliorarsi; quello che teoricamente in occidente chiamiamo scalata personale o carriera, qui funziona solo per conoscenze e raccomandazioni e dalla classe sociale da cui si proviene.

La questione principale è: il popolo egiziano è pronto al grande salto verso una visione democratico-occidentale? Apparente sì, ma ci sono dei fattori che farebbero dubitare: il tasso di sviluppo economico al 5/7% non interessa tutta la società, l’analfabetismo è ancora molto presente, il bisogno di cambiare è appannaggio solo delle grandi città, Cairo e Alessandria in primis, ma il sud Egitto è ancora caratterizzato e permeato da valori tradizionali e religiosi, un po’ come succedeva in Italia del Sud nel secondo dopo guerra. Quindi questa spinta al cambiamento potrebbe essere molto inferiore alle attese sebbene, se si avessero libere elezioni (ricordiamo che l’Egitto ha rifiutato la presenza dei commissari ONU nelle ultime tornate elettorali 2005 e 2007), non è detto che il partito dei Fratelli Mussulmani acquisisca automaticamente la maggioranza (effetto Gaza o Hamas). Molti egiziani sono molto diffidenti verso i Fratelli Mussulmani e preferiscono un status quo nella speranza che in qualche modo porti al miglioramento.

Un altro aspetto di cui bisogna tener conto è il corpo elettorale. L’Egitto è un paese di circa 80 milioni di abitanti di cui solo 32 votano (in Italia ne votano 50 su 60 milioni!). Certo è vero che il paese è un paese di giovani (come nel nostro dopoguerra), però la discrepanza è troppo elevata. In parte si può spiegare con il nocciolo duro e tradizionale della società, che pone la donna nei luoghi rurali in un ruolo subordinato al volere del marito, l’unico che decide se può votare oppure no. Ovviamente è solo una parte della società, sebbene numericamente molto nutrita.

Nel sotterraneo c’è la spinta per cambiare, ma si spera che da qualche parte spunti un leader carismatico che possa esaudire questa aspettativa, però al momento, di leader non se ne vedono. Ciò è dovuto alla mancanza di una dialettica politica e di una visione all’alternanza. Negli anni ’90 in Italia, dopo il crollo della DC, s’intravedeva una vera logica all’alternanza dove il PDS sembrava favorito; invece l’ascesa di Berlusconi in politica su posizioni tradizionaliste, ha fatto notare come tutto quel cambiamento che la società italiana si attendeva fosse solo illusorio. Le ripetute rielezioni di Berlusconi (2001 e 2008), mostrano come gli italiani siano di fondo molto tradizionalisti e timorosi del cambiamento.

E gli egiziani? Sarebbe interessante vedere come si comporterebbero con delle vere libere elezioni, però questo sarà di difficile attuazione. L’Egitto è un paese in una posizione troppo critica, una polveriera o una pentola a pressione che troppi interessi internazionali vorrebbero vedere di una Hamas egiziana. Un’ ingestibilità del paese dei faraoni significa instabilità nell’area mediorientale che nessuno si auspica, perché l’unico paese che continuerebbe ad avere buoni rapporti con Israele sarebbe solo la Giordania e nessuno vorrebbe vedere ripetersi le guerre del ’48 e del ’67. Un Egitto democratico farebbe bene alla comunità internazionale e a se stesso, ma i tempi sono maturi? Questo è un dilemma che ad ogni modo le future elezioni scioglieranno solo parzialmente.

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