Situazione in Egitto al 1 febbraio 2013 (http://www.altravocenews.it)
Venerdì, 1 febbraio 2013, è stato l’ottavo giorno di scontri ininterrotti a Il Cairo. Il confronto con le autorità era sentito e previsto da molti osservatori stranieri e locali per l’anniversario della rivoluzione del 25 gennaio, però nessuno si immaginavano che sarebbero durati così a lungo. Sembra si stia ripetendo la stessa dinamica di due anni fa che ha portato alla caduta di Mubarak. Molti dei dimostranti che sono in strada continuano imperterriti la loro lotta contro uno Stato nel quale non si identificano e incapace di mettere in atto quelle richieste nate due anni fa con l’inizio della rivoluzione. Piazza Tahrir è occupata permanentemente da due mesi e mezzo dai ragazzi, dal giorno in cui il Presidente della Repubblica Morsi ha emanato la sua dichiarazione costituzionale con la quale si attribuiva tutti i poteri istituzionali per superare lo stallo nell’Assemblea Costituente. Forse da quel giorno è nata una frattura, tra i Fratelli Musulmani (FM) e una larga parte della società, che ora sembra una distanza incolmabile. L’aspetto nuovo rispetto ai due anni trascorsi, è l’estendersi del malcontento e delle sommosse anche in altre città egiziane e non solo nella capitale (Suez, Ismailiyya, Port Said, Alessandria, Minya, Beni Suef, Kaf El Sheik).
La vasta protesta che si è infiammata nel paese mette in luce soprattutto l’inesperienza politica del Presidente Morsi e dell’organizzazione dei FM. Entrambi pensano di governare il paese come se stessero governando la propria organizzazione. Morsi non riesce a unire il consenso della nazione, a rappresentarne il leader, ha una personalità debole che non riesce a fare presa nella società e tra la gente. Ancora più grave sembra che non capisca cosa veramente stia accadendo nel paese e come affrontarlo. Stupisce come un’organizzazione e un presidente che per anni sono stati dall’altra parte della barricata non riescano a sentire il polso della popolazione, come sia possibile che si arrocchino dietro le sedi del potere comportandosi allo stesso modo in cui faceva Mubarak. I FM danno l’impressione solo di voler difendere le posizioni di comando che hanno raggiunto più che pensare al bene del paese.
Nei pressi del palazzo presidenziale a Il Cairo (Ettehadiya) ci sono stati scontri con la polizia, alla mezzanotte del 1 febbraio si annoveravano 32 feriti e un morto secondo il giornale Al Masr Al Youm. Nei pressi di Tahrir, sul lungo Nilo vicino all’hotel Semiramis e all’ambasciata americana (AA) gli scontri dei giorni scorsi sembravano aver preso una pausa. Non c’erano né lanci di lacrimogeni e pallottole di gomma né risposte con sassaiole da parte dei manifestanti. La sera, nella via che porta all’AA le transenne dividevano un cordone di polizia dai manifestanti, potevano guardarsi negli occhi alla distanza di alcuni centimetri. Alcuni incredibilmente si abbracciavano l’un con l’altro. Forse questo senso corporativo tra le due fazioni in lotta è nato quando due giorni addietro i poliziotti e i manifestanti, insieme, hanno bloccato l’assalto di una banda di rapinatori al vicino hotel Semiramis, per poi riprendere gli scontri una volta messo al sicuro la struttura alberghiera! Una parte della polizia e dell’esercito sembra aver abbandonato il Presidente. I militari non sono intervenuti quando i cittadini di Port Said hanno sfidato il coprifuoco passeggiando e dimostrando nelle strade della città.
In piazza Tahrir la situazione è stata calma per tutto il giorno. Numerosi volontari e volontarie hanno formato su Twitter e su Facebook tre gruppi per la protezione delle donne contro le molestie sessuali e i tentativi di stupro che sono andati aumentando nella piazza nell’ultimo anno. Tahrir Bodyguard, Amn El Benet e OpAntiSH vestono giacchette fosforescenti o magliette con la scritta “Contro le violenze sessuali”, presidiano Tahrir e le strade circostanti e quelle dove avvengono gli scontri. Per il momento la loro presenza massiccia nella piazza ha scoraggiato qualsiasi tentativo di molestia. Gli attacchi contro le donne sembrano avere lo scopo politico di scoraggiare l’altra metà della popolazione a partecipare alle proteste. C’è la sensazione tra i manifestanti che sia un piano organizzato ad hoc da poteri esterni la piazza. Non si sa bene chi possa essere il soggetto che orchestra dietro le quinte, si ipotizzano gli appartenenti al vecchio regime di Mubarak, alle forze di polizia, ai servizi segreti, o forse ai militari. Senza ombra di dubbio queste costituiscono delle componenti e forze reazionarie dentro il paese, mettere paura a una parte della società, quella femminile, significa dimezzare la forza del movimento rivoluzionario.
Un costante disillusione per le istituzioni va aumentando tra i giovani e la gente, un gap che difficilmente verrà colmato nell’immediato. Il discredito delle autorità viene alimentato dall’abuso di violenza della polizia perpetrato sui manifestanti. Le forze dell’ordine sembrano incapaci nel fronteggiare situazioni civili senza l’uso eccessivo della forza. Dovrebbero essere riformate, e addestrate seguendo principi e valori che rispettino i cittadini, invece sono ancora ancorate ai medoti che vigevano sotto il regime di Mubarak.
Le proteste andranno sicuramente avanti fintantoché non si vedrà un reale cambiamento nelle politiche di chi governa, e fintantoché le richieste della rivoluzione (pane, lavoro, giustizia sociale, educazione …) non inizino a essere attuate subito, altrimenti la fine di Morsi non sarà tanto dissimile da quella di chi l’ha preceduto per trent’anni.
Venerdì, 1 febbraio 2013, è stato l’ottavo giorno di scontri ininterrotti a Il Cairo. Il confronto con le autorità era sentito e previsto da molti osservatori stranieri e locali per l’anniversario della rivoluzione del 25 gennaio, però nessuno si immaginavano che sarebbero durati così a lungo. Sembra si stia ripetendo la stessa dinamica di due anni fa che ha portato alla caduta di Mubarak. Molti dei dimostranti che sono in strada continuano imperterriti la loro lotta contro uno Stato nel quale non si identificano e incapace di mettere in atto quelle richieste nate due anni fa con l’inizio della rivoluzione. Piazza Tahrir è occupata permanentemente da due mesi e mezzo dai ragazzi, dal giorno in cui il Presidente della Repubblica Morsi ha emanato la sua dichiarazione costituzionale con la quale si attribuiva tutti i poteri istituzionali per superare lo stallo nell’Assemblea Costituente. Forse da quel giorno è nata una frattura, tra i Fratelli Musulmani (FM) e una larga parte della società, che ora sembra una distanza incolmabile. L’aspetto nuovo rispetto ai due anni trascorsi, è l’estendersi del malcontento e delle sommosse anche in altre città egiziane e non solo nella capitale (Suez, Ismailiyya, Port Said, Alessandria, Minya, Beni Suef, Kaf El Sheik).
La vasta protesta che si è infiammata nel paese mette in luce soprattutto l’inesperienza politica del Presidente Morsi e dell’organizzazione dei FM. Entrambi pensano di governare il paese come se stessero governando la propria organizzazione. Morsi non riesce a unire il consenso della nazione, a rappresentarne il leader, ha una personalità debole che non riesce a fare presa nella società e tra la gente. Ancora più grave sembra che non capisca cosa veramente stia accadendo nel paese e come affrontarlo. Stupisce come un’organizzazione e un presidente che per anni sono stati dall’altra parte della barricata non riescano a sentire il polso della popolazione, come sia possibile che si arrocchino dietro le sedi del potere comportandosi allo stesso modo in cui faceva Mubarak. I FM danno l’impressione solo di voler difendere le posizioni di comando che hanno raggiunto più che pensare al bene del paese.
Nei pressi del palazzo presidenziale a Il Cairo (Ettehadiya) ci sono stati scontri con la polizia, alla mezzanotte del 1 febbraio si annoveravano 32 feriti e un morto secondo il giornale Al Masr Al Youm. Nei pressi di Tahrir, sul lungo Nilo vicino all’hotel Semiramis e all’ambasciata americana (AA) gli scontri dei giorni scorsi sembravano aver preso una pausa. Non c’erano né lanci di lacrimogeni e pallottole di gomma né risposte con sassaiole da parte dei manifestanti. La sera, nella via che porta all’AA le transenne dividevano un cordone di polizia dai manifestanti, potevano guardarsi negli occhi alla distanza di alcuni centimetri. Alcuni incredibilmente si abbracciavano l’un con l’altro. Forse questo senso corporativo tra le due fazioni in lotta è nato quando due giorni addietro i poliziotti e i manifestanti, insieme, hanno bloccato l’assalto di una banda di rapinatori al vicino hotel Semiramis, per poi riprendere gli scontri una volta messo al sicuro la struttura alberghiera! Una parte della polizia e dell’esercito sembra aver abbandonato il Presidente. I militari non sono intervenuti quando i cittadini di Port Said hanno sfidato il coprifuoco passeggiando e dimostrando nelle strade della città.
In piazza Tahrir la situazione è stata calma per tutto il giorno. Numerosi volontari e volontarie hanno formato su Twitter e su Facebook tre gruppi per la protezione delle donne contro le molestie sessuali e i tentativi di stupro che sono andati aumentando nella piazza nell’ultimo anno. Tahrir Bodyguard, Amn El Benet e OpAntiSH vestono giacchette fosforescenti o magliette con la scritta “Contro le violenze sessuali”, presidiano Tahrir e le strade circostanti e quelle dove avvengono gli scontri. Per il momento la loro presenza massiccia nella piazza ha scoraggiato qualsiasi tentativo di molestia. Gli attacchi contro le donne sembrano avere lo scopo politico di scoraggiare l’altra metà della popolazione a partecipare alle proteste. C’è la sensazione tra i manifestanti che sia un piano organizzato ad hoc da poteri esterni la piazza. Non si sa bene chi possa essere il soggetto che orchestra dietro le quinte, si ipotizzano gli appartenenti al vecchio regime di Mubarak, alle forze di polizia, ai servizi segreti, o forse ai militari. Senza ombra di dubbio queste costituiscono delle componenti e forze reazionarie dentro il paese, mettere paura a una parte della società, quella femminile, significa dimezzare la forza del movimento rivoluzionario.
Un costante disillusione per le istituzioni va aumentando tra i giovani e la gente, un gap che difficilmente verrà colmato nell’immediato. Il discredito delle autorità viene alimentato dall’abuso di violenza della polizia perpetrato sui manifestanti. Le forze dell’ordine sembrano incapaci nel fronteggiare situazioni civili senza l’uso eccessivo della forza. Dovrebbero essere riformate, e addestrate seguendo principi e valori che rispettino i cittadini, invece sono ancora ancorate ai medoti che vigevano sotto il regime di Mubarak.
Le proteste andranno sicuramente avanti fintantoché non si vedrà un reale cambiamento nelle politiche di chi governa, e fintantoché le richieste della rivoluzione (pane, lavoro, giustizia sociale, educazione …) non inizino a essere attuate subito, altrimenti la fine di Morsi non sarà tanto dissimile da quella di chi l’ha preceduto per trent’anni.
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