
Che cosa succede se il Presidente delle Repubblica democraticamente eletto, con un atto unilaterale, si pone al di sopra di ogni altro organo statale assumendosi poteri quasi illimitati? Che cosa succede se in un paese democratico il parlamento è stato sciolto perché dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale e la Camera Alta approva una nuova Costituzione? Che cosa succede se dopo l’approvazione di quest’ultima attraverso un referendum nuove elezioni non vengono indette mentre il malcontento della popolazione va crescendo verso l’inazione politica e un’agenda economica disastrosa che sta portando il paese al baratro? Succede Tamarroud, in arabo: ribellione! Tamarroud è un movimento (parola che va molto di moda nella politica di inizio XXI° secolo) politico egiziano che ha una storia profonda risalente all’insurrezione dei lavoratori nel 1919 contro il re Fuad. Sotto alcuni aspetti il movimento era risorto durante gli ultimi anni del regime di Mubarak con l’etichetta di “Associazione per il cambiamento” guidata da Mohamed el Baradei.
Secondo l’etimologia, la parola ribelle ha diversi significati: “Cittadino che si solleva contro l’autorità legittima del proprio paese”; oppure, “Coloro che dopo essersi arresi si sollevano in armi contro il vincitore”. Ma che cosa volevano i “ribelli” egiziani e cosa hanno fatto? I Tamarroud volevano che il presidente repubblica Morsi si dimettesse per palese incompetenza nel proprio incarico. Per raggiungere quest’obiettivo i ragazzi del movimento hanno pensato di raccogliere, entro il 30 giugno, 15 mln di firme dei cittadini, cifra simbolica che superava i 13,2 mln di voti raggiunti da Morsi all’elezioni presidenziali. Per quello stesso giorno, in coincidenza con l’anniversario del primo anno della presidenza di Morsi, veniva indetta una manifestazione di massa in tutto l’Egitto, alla quale gli stessi firmatari venivano invitati a partecipare. Tamarroud ha ricevuto l’appoggio di quasi tutti gli altri movimenti di opposizione come il “6 Aprile” e Kafayya (Basta), senza dimenticare l’appoggio del Fronte Nazionale di Salvezza guidato da Hemdeen Sabahi, Amr Mousa e Baradei. Le comunicazioni, oltre che passare dai normali canali informativi, sono rimbalzate su Twitter e su Facebook, e ovviamente la strada.
Tamarroud è nato da Mahmud Badr, Hassan Shahin e Mohamed Abdel Aziz e da altri componenti. Badr è giornalista e ha votato per Morsi alle elezioni presidenziali del 2012, ma è stato completamente disilluso dall’azione del Presidente, come la maggioranza degli egiziani. L’iniziativa ha preso il via il 1 maggio a Tahrir. La scelta della festività dei lavoratori non è stata casuale, ma volta a rimarcare l’inconcludenza delle politiche economiche del governo nominato da Morsi e la disastrosa situazione in cui versano molte famiglie egiziane. I 10000 volontari in campo avevano raccolto più di 2 mln di firme già la prima settimana. Ogni singolo cittadino era coinvolto e partecipe, non era inusuale che dipendenti pubblici o privati portavano con sé mazzette prestampate in formato A4 dei Tamarroud da far firmare ai colleghi. Vederli in strada, ai congressi, ai concerti, alle presentazioni di libri, in banca o al supermercato, sembrava una mossa goliardica di giovani (ma non solo) egiziani che non sarebbero arrivati da nessuna parte. Morsi e la Fratellanza Musulmana dovevano aver pensato lo stesso a principio. Però, Grillo docet, un movimento può cavalcare l’onda e diventare uno tsunami. Allo spoglio finale del 29 giugno, le firme erano più di 22 mln di sostenitori!

La preoccupazione dei FM è andata aumentando a mano a mano che il movimento si ingrossava. La Fratellanza ha organizzato raduni a favore di Morsi presso la moschea di Rabaa Al Adaweya nel quartiere di Nasr City a Il Cairo già a partire dal 20 giugno per compensare la possibile ondata di proteste dei Ribelli. L’alta giunta interna dei Fratelli aveva capito che quello che era stato bollato come un piccolo acquazzone passeggero era invece una tempesta che si stava abbattendo su di loro e avrebbe spazzato via ogni certezza. Gli assembramenti, a dire il vero poco spontanei, sono stati numericamente pesanti, ma “ridicoli” rispetto alle manifestazioni oceaniche organizzate dai Tamarroud in tutto il paese viste in mondovisione. Ancora da confermare, le cifre della mobilitazione finale, parlano di 30 mln di persone in strada, molto più di quelle che avevano visto la caduta di Mubarak due anni e mezzo prima. I Fratelli sono riusciti lì dove anche Mubarak aveva fallito: compattare tutte le opposizioni, tutte le classi sociali e tutti i soggetti dello Stato, dai militari alla polizia, dagli avvocati ai giudici, dal Fronte di Salvezza Nazionale ai fulul, i nostalgici del vecchio regime, dai musulmani ai cristiani, dai ricchi ai poveri!
La struttura dei Tamarroud è molto simile a quella di un partito politico. Mohamed Abdel Aziz l’ha mostrata in una delle tante conferenze tenute nella capitale egiziana. Il movimento dei Ribelli, è formato da dieci commissioni: per gli affari quotidiani, per le comunicazioni ai media locali e internazionali, per l’e-work, per il lavoro pubblico, giuridico e di attività esterna, per la logistica, per le regioni e per i sindacati. Ma quello che conta di più è che alla base dei Tamarroud esiste una Road Map ben delineata con alcuni punti programmatici. Dimissioni di Morsi e nomina ad interim del presidente della Corte Costituzionale come garante del nuovo assetto statale transitorio; nuova legge elettorale, elezioni presidenziali da tenere entro sei mesi e monitorate da osservatori internazionali; nomina di un governo di tecnici indipendenti (fuori da ogni precedente nomenclatura), con l’incarico di affrontare la drammatica situazione economica; riforma della Costituzione o redazione di una nuova. Appena destituito Morsi, il giorno successivo le capo delle forze armate, il generale El Sisi, ha nomitato suo successore il giudice costituzionale Adly Mahmud Mansour, andando incontro alla volontà della piazza.

Karim Saka, 31 anni, coordinatore e responsabile dell’ufficio stampa dei Tamarroud, attivista politico dal 2001 e responsabile della campagna elettorale presisidenziale de El Baradei prima che questi ritirasse la sua candidatura, spiega la goccia che ha fatto traboccare il vaso: “C’è stata una mancanza completa di democrazia, i FM hanno preso il sopravvento e il possesso di tutte le cariche pubbliche. Dopo la dichiarazione costituzionale di Morsi (nov. 2012), la gente è scesa in piazza a protestare perché ha preso coscienza che nulla stava realmente cambiando nel paese. In quel momento abbiamo capito che era importante iniziare a rendere partecipi i cittadini e rivitalizzare il loro interesse per la vita politica. Molti egiziani avevano perso la speranza. Con Tamarroud l’abbiamo riaccesa e abbiamo dato ai cittadini i mezzi per esprimere pacificamente le proprie aspettative e gli scopi da raggiungere”
Continua Saka: “Il paese era compleramente paralizzato, sotto tutti gli aspetti: nei campi politico, giuridico, economico, sociale e della sicurezza nazionale. Per dare quello scossone al sistema atrofizzato, l’unico modo era quello di scendere pacificamente in strada, perché per noi di Tamarroud l’unica azione possibile è quella pacifica. È un diritto del popolo quello di manifestare. Per noi era importante stilare un programma dettagliato con il quale la gente si potesse confrontare e identificare, per proporre soluzioni reali. Non volevamo ripercorrere gli stessi errori commessi negli ultimi due anni e mezzo”
Come sfiduciare un presidente eletto direttamente? E chi ha il potere di destituirlo in assenza di una norma costituzionale? Non esiste una giurisprudenza al riguardo se non l’etichetta di Colpo di Stato. Ma Karim spiega il punto di vista del movimento: “La prima legittimità democratica è quella del popolo. Abbiamo raggiunto più di 22 mln di firme, che sono più dei voti con i quali è stato eletto Morsi. È il popolo che dà legittimità al presidente e il popolo può ritirare il mandato in ogni momento”. Ovviamente, senza l’intervento dei militari, sicuramente i Tamarroud non avrebbero avuto successo. Ma il paese era allo stremo e sull’orlo del collasso economico, e non poteva permettersi altri 18 giorni di protesta civile e di scioperi generali.

Gli ultimi precipitati tentativi di Morsi di offrire compromessi prima del 30 giugno sono falliti. I suoi discorsi televisivi venivano palesemente denigrati a Tahrir mostrando le scarpe in segno di disprezzo. Saka: “Vogliamo una nuova Costituzione che consideri la volontà del popolo, che sia giusta perché costituisce la base sulla quale si forma lo Stato ed è l’unico mezzo per realizzare una democrazia effettiva. Deve essere una Carta di valori e di idee su cui si riconoscono tutti. Quella approvata da Morsi pensa solamente all’interesse di una parte, quella islamica di destra e aveva troppi punti non chiari che potevano essere interpretati in modo equivoco”. Proprio un articolo su tutti ha probabilmente dato legittimità all’intervento dei generali, il 196. Questo stabilisce che, in casi di pericolo per la sicurezza nazionale, l’esercito, se lo ritiene necessario, può intervenire per riportare l’ordine nel paese.
I Tamarroud hanno rinvigorito la rivoluzione egiziana e preso in contropiede quegli analisti che la giudicavano solo una rivolta e che affermavano che gli egiziani aveva semplicemente aggiunto la barba al vecchio presidente. Hanno spiazzato anche chi pensava che le urne fosse l’unzione perenne del Signore per rimanere in carica senza avere più un riscontro reale nella società. Il leader nasseriano Hamdeen Sabahi (in un’intervista a Reuters), ha voluto precisare che l’intervento dei militari e la rimozione del presidente in carica non è stato un colpo di Stato. L’esercito ha solo assecondato la volontà della piazza, rimanendo dietro le quinte. Lo stesso generale Sisi, ex ministro della difesa, non è diventato né primo ministro né presidente della repubblica.
Molti cittadini sono dell’idea che questa volta l’esercito rimarrà imparziale ed in disparte, sarà la sentinella della rivoluzione. Ruolo che anche lo scrittore Alaa Al Assuani si augurava a maggio del 2011 per poi essere smentito dal corso degli eventi. I quadri di quell’esercito avevano bisogno di essere epurati da tutti quei soggetti ancora compromessi con il vecchio regime di Mubarak, in primis il federmaresciallo Tantawi. Ora, la nuova generazione di generali ha preso in mano le redini del Consiglio Supremo delle Forze Armate, e sembra intenzionata ad adottare un atteggiamento pro-rivoluzione, sempre sottinteso che gli interessi economico-militari dell’esercito non vengano toccati (che costituiscono quasi il 40% dell’economia dell’Egitto). Certo l’uccisione a freddo di 52 Fratelli davanti alla palazzo della guardia repubblicana il 8 luglio, non è il migliore degli auspici, nessuna provocazione individuale può giustificare un massacro di tali proporzioni. Tutto dipenderà dalla reazione dei FM e da quale strada prenderà la Fratellanza: quella armata o quella della cooperazione? Quest’ultima al momento sembra alquanto remota dopo che Morsi è stato rimosso. La sfida del Tamarroud e del FNS sarà quella di non marginalizzare i FM, per evitare una loro estremizzazione. Devono evitare di adottare una politica ad esclusione, la stessa adottata dalla Fratellanza nell’ultimo anno.

Sicuramente, il 3 luglio rappresenta una grande sconfitta per l’islam politico, che sarà costretto a ripensare completamente molti dei principi e regole su cui si basa e sul modo di interpretare la democrazia. Solo così potrà affrontare le molte sfide della post-modernità, in cui il popolo, almeno in Medio Oriente e a ondate, sembra tornato a giocare un ruolo attivo e determinante. Solo in questo modo potrà evitare il ripetersi della storia e che un nuovo Nasser elimini i FM dalla scena politoco-sociale come già accaduto negli anni ‘50, relegandoli all’anonimato e all’illegalità. I FM si sono fidati di qualcuno, l’esercito, che negli ultimi 60 anni non ha fatto altro che perseguitarli. Per compensare l’enorme peso dei militari avrebbero dovuto cercare consenso nel paese e nelle opposizioni invece di arroccarsi sulle proprie posizioni.
Sarà compito dei giuristi stabilire se il 3 luglio è stato un coup d’état appoggiato dalla popolazione o un possibile nuovo meccanismo democratico. Infatti, è proprio un colpo di stato in senso classico quando i militari hanno l’appoggio della maggioranza del paese? È un colpo di stato quando un presidente eletto democraticamente emana una “Dichiarazione Costituzionale” in cui si assume tutti i poteri dello Stato avvicinandosi alla figura di un dittatore? Il popolo egiziano, forse con la benedizione e il consenso di mamma America, non ha avuto altro rimedio se non quello di ribellarsi di nuovo! Gli egiziani hanno così festeggiato il “golpe morbido” dei militari come fosse il ritorno alla normalità dopo la parentisi anomala della Fratellanza Musulmana. Per loro la rivoluzione continua al grido di Ribelli, anche se i pericoli e le derive autoritarie, come lo spettro di una possibile guerra civile o di un direttorio militare, sono sempre dietro l’angolo!

Volantino Tamarroud contro Morsi (traduzione parziale di V.M.):
“Perché ancora la sicurezza nel paese ancora non è tornata …… non ti vogliamo!
Perché ancora i poveri non hanno un posto dove stare …… non ti vogliamo!
Perché ancora non c’è giustizia …… non ti vogliamo!
Perché i martini ancora non hanno avuto giustizia …… non ti vogliamo!
Perché non c’è dignità per me e per il paese …… non ti vogliamo!
Perché l’economia è crollata e la mancanza di valori e della salute …… non ti vogliamo!
Perché segui gli americani …… non ti vogliamo!
Da quando Morsi è andato al potere, nessuna delle richieste della rivoluzione è stata realizzata, come neanche la possibilità di vivere decentemente, la libertà, la giustizia sociale e l’indipendenza del paese. Morsi ha fallito completamente al raggiungimento di tutti questi obiettivi, tra cui garantire la sicurezza e la giustizia sociale, e la riforma dello Stato e dell’amministrazione”
Firma
Egitto