
Il viaggio è un percorso, una strada da fare dove lungo il suo cammino si perdono quegli strati pieni di stereotipi e false convinzioni; ogni tappa è un pezzo di sé che cambia e si rinnova, una metamorfosi che procede di passo in passo. Per arrivare fino all’anima, il viaggio ha bisogno delle persone, di contatti umani che sono fatti di tradizione, di cultura, di cibo, di esperienze di vita da scambiare, in una comunicazione reciproca che richiama inconsciamente a esperienze comuni. Itinerari Paralleli ha voluto confrontarsi con quest’idea: creare un eco turismo sociale in Tunisia, che parte dal basso, attraverso la collaborazione tra le culture e le genti, per creare un ipotetico ponte tra le due sponde del Mediterraneo, per fare in modo che questo mare non costituisca una barriera, ma un mezzo con il quale comunicare e congiungere.
Quante volte si attraversano posti senza capire effettivamente come vivono quelle persone che s’incrociano solo per un momento? Quante volte si vorrebbe scambiare anche un semplice punto di vista che permetterebbe di carpire meglio il territorio che si attraversa?

Sergio Galasso, Fabio Merone e Laura Salomoni credono nella loro idea, l’incontro è alla base del progetto, con le persone e con i luoghi da scoprire, nella loro storia e nella loro vita quotidiana. Vogliono creare una rete di collaborazione con la gente dell’entroterra tunisino, instaurando solide basi e relazioni con le famiglie che vivono il territorio: famiglie selezionate dove il viaggiatore alloggerà, mangiando e dormendo con loro, rimanendo coinvolto nelle loro attività quotidiane e di tempo libero. Itinerari Paralleli vuole cercare di proporre un altro tipo di approccio che parla alle persone, che faccia conoscere altri angoli della Tunisia e la storia di cui è ricca la nazione. Il viaggiatore entrerà in contatto con luoghi che spesso sono inaccessibili a un certo tipo di turista, ma soprattutto conoscerà altre culture in uno scambio mutuale, abbattendo il concetto che il contatto con i locali può esistere solo attraverso un finestrino del pullman o l’obiettivo di una macchina fotografica.
Le famiglie coinvolte nel progetto riceveranno un congruo pagamento che le aiuterà economicamente. Come condizione verrà loro richiesto che una piccola parte del compenso sia investita per aiutare e sviluppare la comunità locale, e il senso della socialità, per costituire centri culturali, formare piccole cooperative che contribuiscano al miglioramento dei beni pubblici (scuola, servizio dei trasporti per gli studenti,

miglioramento del manto stradale …). Accrescere il senso di appartenenza al territorio in cui si vive e amalgamare il tessuto sociale favoriscono la crescita e lo sviluppo economico e sociale dell’intera regione.
L’hinterland tunisino è prevalentemente povero e agricolo, con alcune sacche di industrializzazione, come la città di Gafsa. Itinerari Paralleli vuole riscoprire queste aree, attraverso il turismo solidale, rivalutando e riqualificando il territorio nel processo post industriale e post migratorio che ha colpito anche al Tunisia.
La Tunisia ha principalmente sviluppato un turismo di massa. Città artificiali, come quelle di Hammamet e Soussa, che hanno depauperato la costa e abbandonato il paese al proprio destino senza più quell’afflusso di turisti dall’estero dopo la crisi economica del 2008. Città pensate per il turista da “spolpare” per una vacanza modi e fuggi, creando un immaginario locale stereotipato che è quello che il turista si aspetta di vedere. Il paese si è trovato in ginocchio di fronte l’impossibilità di dar lavoro a molti giovani che, alimentando i flussi migratori interni dal sud del paese, sono andati ad ingrossare le file dei disoccupati nelle metropoli tunisine.

La rotta è stata pianificata da Fabio Merone che, vivendo in Tunisia da circa 9 anni, possiede un’ottima conoscenza del paese. Durante il tragitto il paesaggio cambia in continuazione. Dopo circa 50 km da Tunisi si abbandona il verde per il brullo e marrone della terra ricoperta di larghe distese di olivi. Le linee d’asfalto sono intervallate di contadini e pastori, i quali attraversano la strada con il loro gregge, riportando alla memoria un’Italia di altri tempi. Il percorso si srotola anche ripercorrendo alcuni siti legati alla recente rivoluzione tunisina. La prima tappa è la cittadina di Sidibouzid, dove Mohamed Bouazizi si è dato fuoco innescando la miccia che ha dato inizio alla Primavera Araba. Qui Itinerari Paralleli ha fatto tappa per incontrare un gruppo di giovani rapper che vorrebbe prendere in gestione una ex caserma di polizia abbandonata, ristrutturandola, per poter creare un centro culturale musicale dove i giovani possono discutere, scambiarsi idee e fare concerti. Infatti, tramite Sergio Galasso, Itinerari Paralleli collabora con alcune associazioni italiane (l’Arcs, l’Acmos e il Comitato Salvagente di Torino) che aiutano questi piccoli sviluppi culturali, e che vogliono creare in futuro un interscambio con visite fra Italia e Tunisia.

Nel tardo pomeriggio si arriva a Regueb, un paese a circa 300 km dalla capitale. Qui una famiglia attende per la cena: cous cous vegetariano per un sano pasto frugale. Si mangia con tutta la famiglia, uomini, donne e bambini, si scambia qualche battuta grazie all’intermediazione linguistica di Fabio che ormai domina l’arabo come l’italiano. Più tardi si va al centro culturale locale dove ci sono le prove di una rappresentazione teatrale sulla rivoluzione. Il regista Abou Al Fatah, vestito alla Che Guevara, incita gli attori gesticolando e gridando come se fosse un indemoniato. La sera ci riuniamo con lui presso un bar, insieme ad altri artisti locali e intellettuali

marxisti, bevendo tè berbero e fumando un narghilè, discutendo della recente rivoluzione e della situazione politica.
Il giorno successivo si procede verso il parco di Bou Hedma, un fazzoletto superstite di Savana centroafricana conservato grazie alla dedizione del suo direttore, Lahza El Hamdi, che ha lavorato ininterrottamente per 18 anni al progetto di recupero ambientale. È stato possibile conservare questo microclima grazie alle piante di acacie, capaci di resistere alle alte temperature del deserto e di creare un sottobosco, fatto di sterpaglie e rovi che recuperano metri e metri alla desertificazione del Sahara che avanza. Così sorprendentemente ci si imbatte in gazzelle, mufloni, struzzi, antilopi, topi del deserto e molte specie di uccelli che non esistono nel resto del paese.

Il viaggio prosegue per Sened, una cittadina incastrata in mezzo ai monti con picchi di circa 1000 m. La città è scolpita nella roccia. Con la coordinazione della Cooperazione Italiana, si cerca di ristrutturare le antiche case nelle grotte abbandonate per creare un tessuto turistico alternativo che rispetti l’ambiente. La particolarità di questo paese sono i Trulli, delle costruzioni rotonde completamente stuccate in bianco, dove in particolari periodi dell’anno vengono celebrati riti sufi, in una tradizione mistica che lega la Tunisia all’Egitto e alla Turchia.
Al confine con l’Algeria c’è Umm Al Arais, una città industriale fondata dai francesi alla fine del 19° secolo per l’estrazione dei fosfati. Si passa la notte presso la famiglia di Nizar Salim, con la moglie, la madre e le tre bambine. Ci servono cous cous con agnello, insalata e olive verdi.

La mattina successiva s’incontra il sindacalista Mal Hossein, poi si va direttamente alla fabbrica di fosfati: squarci post-industriali che rappresentano non solo la Tunisia. Si va alla cava insieme a un ingegnere locale che ci spiega i metodi per l’estrazione e lo smaltimento dei residui dei fosfati. Anche qui la gente è disperata per la mancanza di lavoro, se Itinerari Paralleli veramente riuscisse a decollare rappresenterebbe una chiara alternativa al diminuire incessante della richiesta di manodopera.
Verso il confine con l’Algeria le vette aride dei monti creano delle vallate a perdifiato, grandi estensioni di terra bruciata che scavano l’anima, fino a incontrare l’immensa distesa bianca del lago salato de El Jerid.

In prossimità di Matmata inizia il Nufusa, quella cordigliera che penetra dentro la Libia creando quella conca geografica che abbraccia la città di Tripoli. Si pernotta a Douiret, una cittadina risalente al medioevo che grazie all’intervento dell’Unione Europea è stata parzialmente recuperata, e dove due sorelle berbere, Anes e Latifa, gestiscono un hotel completamente ricavato dalle grotte della roccia. Qui si è persi nel silenzio del deserto che inizia pochi km più a sud, dove si ritorna in armonia con se stessi: l’aria pura, il buon cibo, la città semi-diroccata, i lineamenti forti delle donne berbere … e il sapore forte delle rocce che con i loro colori accesi sembrano scaraventare l’anima in un tempo passato e abbandonato nell’oblio.
Il viaggio prosegue per Ben Gardene, facendo tappa per il campo profughi di Chucha dove incontriamo lo spaccato umanitario dell’altro lato della guerra in Libia. Secondo il responsabile delle relazioni esterne dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, l’italiano Rocco Nuri, delle 3200 persone rimaste quasi tutte hanno ottenuto lo status di rifugiato politico e sono in attesa di essere ricollocatiin paesi dell’Occidente.

Tunisi è l’ultima tappa, per chiudere il cerchio. La strada costeggia il Mare Nostrum che racchiude mille culture e mille volti, che affonda nello spirito e abbraccia civiltà millenarie. Il viaggio è un processo che può durare pochi giorni, oppure settimane o mesi, che continua anche quando finisce, perché se quegli strati persi durante il cammino a poco a poco si ricostituiscono al momento del rientro, i km macinati lasciano un segno indelebile, pieni di un lascito che rimarrà nel tempo e nel ricordo.
La parte iniziale e la parte finale che lasciano spazio ai sentimenti ed al libero pensiero sono le cose migliori di quest’articolo che per il resto sembra ripreso da un depliant.
Beh, dovevo dare credito a Itinerari Paralleli …. :-).